MotoGP | Passaporto o velocità: una griglia più internazionale per far crescere la MotoGP?
In un’intervista rilasciata nei giorni scorsi, Carmelo Ezpeleta ha espresso la volontà di coinvolgere maggiori nazionalità in MotoGP. Un desiderio che fa leva sul lavoro di Dorna nei campionati formativi in giro per il mondo.
6 italiani, 10 spagnoli, 2 francesi, un giapponese, un sudafricano, un portoghese e un australiano. È questa l’attuale fotografia della griglia 2024 della MotoGP che vede, su 22 piloti, solo 7 nazionalità rappresentate, con quasi il 50% dello schieramento formato da soli piloti spagnoli. Un mezzo monopolio che per Dorna – e per Liberty Media che prenderà il comando delle operazioni sul Motomondiale una volta che l’UE darà il via libera – va in qualche modo spezzato. Obiettivo dichiarato è quello di ampliare il numero di nazioni rappresentate: basti pensare che in Formula 1, asset sportivo principale di Liberty Media, pur essendoci due piloti in meno (20 contro i 22 presenti in MotoGP) sono 15 le nazionalità che hanno almeno un pilota titolare presente.
Ezpeleta lancia l’idea: un tetto al numero di piloti per nazione
In un’intervista concessa a Speedweek dopo il fine settimana di Silverstone, il CEO di Dorna ha dichiarato come uno dei target dei piani alti del Motomondiale è proprio quello di ampliare il parco nazioni sullo schieramento della Classe Regina, dove c’è meno eterogeneità rispetto alle classi inferiori: infatti, in Moto3 le nazioni presenti sono 9, mentre in Moto2 sono addirittura 15. Spostandoci invece alla Superbike, anche qui le nazionalità presenti con almeno un pilota titolare sono 9. Che i team della Classe Regina abbiano meno coraggio a puntare su piloti provenienti da paesi diversi da quelli già presenti in griglia?
Dovremo cercare, e so che sarà controverso, di capire come coinvolgere più nazionalità in questo sport. Non ho la bacchetta magica, ma spero di riuscire a trovare un modo [per riuscirci, ndr]. I migliori devono far parte del campionato, senza alcun dubbio. Ma è molto più facile essere tra i migliori se sei italiano o spagnolo. Deve essere un po' come le Olimpiadi, anche se non è un’immagine del tutto fedele, ma alle Olimpiadi, ad esempio, partecipano tre americani. Se sei il quarto miglior americano, hai sicuramente un curriculum migliore di tanti altri, ma non partecipi.
Poche nazioni? Un retaggio culturale della classe Regina e non solo
Il fatto che poche nazioni siano presenti nella classe Regina – e che poche riescano a coltivare piloti vincenti – non è però una novità degli ultimi tempi, ma è frutto di un retaggio storico e culturale che caratterizza il Motomondiale nella sua storia.
Se analizziamo l’albo d’oro, le nazioni con un titolo iridato nella sola classe Regina, tra 500 e MotoGP, sono solo 7 dal 1949 ad oggi: Italia, Regno Unito, Stati Uniti, Spagna, Australia, Rhodesia (oggi suddivisa in Zambia, Malawi e Zimbabwe) e Francia. Una lista che, se ci fermiamo al 1998, non contava Spagna e Francia, con la seconda ultima new entry in lista grazie al titolo di Quartararo del 2021. Anche qui, in contrapposizione totale con la Formula 1, dove le nazioni con almeno un titolo piloti sono 15.
Secondo Luca Marini, interpellato sulla questione al Red Bull Ring, la forte presenza di piloti italiani e spagnoli trova motivazione nell’organizzazione che in questi paesi c’è nella formazione di giovani capaci di arrivare ad altissimo livello.
Il livello dei piloti italiani e spagnoli è molto alto, sono in MotoGP perché sono i più forti. Se siamo in grado di trovare piloti altrettanto bravi di altre nazionalità, ben venga. In Spagna e Italia c’è una cultura, una passione e un’organizzazione a livello adolescenziale, se non a livello ancora inferiore, che gli permette di crescere e diventare piloti. Negli altri paesi non è così. Vediamo. Se sarà così bisognerà essere tra i tre migliori italiani, non è un problema.
E il discorso di Marini ha senso, considerando anche che Italia e Spagna - in assoluto - sono le due nazioni ad aver vinto più Mondiali: 82 titoli iridati per l'Italia e 59 per la Spagna.
Ezpeleta punta ad accrescere l’importanza della Road to MotoGP?
Marini quindi evidenzia l’importanza della formazione a livello giovanile, un aspetto sul quale Dorna stessa sta investendo pesantemente con l’organizzazione e il patrocinio di tutta una serie di campionati giovanili internazionali che sono racchiusi sotto il cappello della Road to MotoGP, che si pone l'obiettivo di “aumentare l'accessibilità nella gara verso l'uguaglianza”, fornendo accesso a chi coltiva il sogno di diventare pilota. La Road to MotoGP ha il suo vertice nel JuniorGP, l'ex-CEV che oggi funge da Mondiale giovanile e da ultimo step verso l'ingresso nel Motomondiale. Campionato al quale poi si affiancano Red Bull Rookies Cup (il campionato monomarca KTM), European Talent Cup e tutta una serie di campionati propedeutici come Asia Talent Cup, British Talent Cup, Northern Talent Cup e, alla base, la FIM MiniGP World Series. Senza dimenticare il CIV con Moto3 e PreMoto3, da dove sono usciti tanti piloti italiani che stanno correndo (e hanno corso) nel Mondiale.
Campionati come Asia Talent Cup, British Talent Cup, Northern Talent Cup (e non solo) offrono una possibilità ai giovani piloti provenienti da zone meno presenti nel Motomondiale di avere un campionato nel quale correre e crescere prima di affrontare i passi successivi per arrivare al Mondiale. Un percorso sviluppato per portare frutti sul lungo termine, basti pensare che Ai Ogura, annunciato ieri da Trackhouse per il 2025, è solo il primo pilota proveniente dall’Asia Talent Cup ad approdare in MotoGP, a 10 anni dalla nascita del campionato. Lista che potrebbe allungarsi a breve con il possibile arrivo di Somkiat Chantra in LCR al posto di Nakagami.
Passaporto guida alle scelte del prossimo biennio?
Nel breve periodo, soprattutto in vista del 2025-2026, biennio per il quale i team stanno chiudendo i contratti in questa fase – ne abbiamo parlato qui -, può sembrare che le scelte siano parzialmente condizionate dal passaporto. Davide Brivio, team principal di Trackhouse Racing, ha spiegato come l'arrivo di Ogura in MotoGP permetta al campionato di avere un altro rappresentante extra-europeo, certificando il lavoro svolto in Asia da Dorna con la già citata Asia Talent Cup.
Sapevamo che Dorna sarebbe stata contenta se avessimo scelto un pilota statunitense, tutti lo sanno che un pilota americano è importante per il campionato. Se si guarda questa scelta dalla loro prospettiva, hanno comunque un motivo per essere contenti perché un pilota che arriva dall’Asia Talent Cup è in MotoGP. Penso che alla fine sia stata una buona scelta anche per il campionato. Abbiamo scelto in base alle prestazioni e alla storia sportiva ma è bello avere un pilota giapponese, abbiamo fatto qualcosa di positivo per il campionato. Richieste dirette da Dorna sulla scelta? Non proprio, tutti lavoriamo in questo business, ma non abbiamo ricevuto pressioni. Tutti sappiamo che è importante avere un americano, ma non ci sono state richieste specifiche in merito.
Forse in questo senso è da vedere la scelta di Pramac di affidarsi a Jack Miller, il che consentirebbe all’Australia di mantenere un proprio rappresentante in griglia, sebbene Miller stesso non voglia restare in MotoGP per una semplice questione di passaporto. E forse è da riassumere allo stesso modo anche la probabile scelta di LCR di portare in griglia Chantra: avendo un pilota giapponese con Ogura, perdere Nakagami a vantaggio di Chantra non rappresenta un grosso problema per Dorna e permetterebbe alla Thailandia – mercato chiave nell’ambito delle due ruote – di avere un rappresentante in griglia, aumentando ulteriormente la febbre da MotoGP della nazione asiatica, che da qualche anno ospita anche una tappa del Motomondiale. Questione di business e non solo.
Scelte non sempre condivisibili?
Se, secondo Marini, il fatto di avere 16 piloti italiani e spagnoli non è solo questione di passaporto, qualcuno non condivide pienamente queste parole. Aleix Espargaró, nel commentare gli ultimi movimenti di mercato, giovedì con la stampa spagnola non è stato tenero specialmente con Franco Morbidelli, affermando come non sia “corretto che piloti che hanno moto vincenti da più anni e non ottengono risultati continuino ad avere opportunità togliendole a giovani piloti”, in riferimento al suo approdo in VR46 ufficializzato venerdì. Dichiarazioni poi riviste e corrette nella giornata di venerdì, quando ha tarato il tiro affermando come stesse parlando di sé stesso.
Comunque vada, anche qui, questione di business e non solo. Perché vero che serve cercare di andare verso una direzione più internazionale, ma l'ultima scelta spetta, nella maggior parte dei casi, ai team: e chi meglio di loro può decidere chi merita - e chi no - di far parte di una delle griglie di partenza più competitive di tutti i tempi?
Mattia Fundarò