Credits: www.indycar.com
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Rufus Parnell Jones, noto al grande pubblico come Parnelli Jones, ci ha lasciato ieri, all'età di 90 anni. Nato a Texarkana, Arkansas, nel 1933, si è spento per cause naturali (dopo una lunga lotta con il morbo di Parkinson) a Torrance, California, la città in cui viveva da quando aveva sette anni.

Chi ti credi di essere?

Con la scomparsa di Parnelli Jones il motorsport perde uno dei piloti più duri, veloci, determinati e versatili che abbiano mai preso la via della pista, una leggenda delle corse americane. Secondo Robin Miller, compianto giornalista sportivo, se esistesse un Monte Rushmore del motorsport statunitense, vedremmo i profili di A.J. Foyt, Mario Andretti, Dan Gurney e Parnelli Jones.

Negli USA Parnelli Jones, negli anni ruggenti dell'attività in pista, simboleggiava la velocità. La sua biografia, curata da Bones Bourcier, si intitola "As a matter of fact, I am Parnelli Jones", a quanto pare battuta usata come risposta ad un ufficiale di polizia che l'aveva fermato per guida troppo veloce: "Chi ti credi di essere? Parnelli Jones?", chiese il poliziotto, "In realtà, io sono Parnelli Jones", rispose il diretto interessato.

Parnellie

La storia vuole che Rufus Parnell Jones, in gioventù, avesse molto interesse nei cavalli, ma a sedici anni decise di vendere l'equino di sua proprietà per comprarsi una hot-rod. L'attrazione verso le corse in automobile e la voglia di partecipare nelle varie competizioni lo spinsero a falsificare la sua età e a coniare quel nome d'arte, Parnelli, unico nel suo genere.

Il nome di battesimo Rufus Parnell arrivava da una scelta della madre, in onore di un giudice locale che rispettava, e costituiva una combinazione nome-cognome piuttosto facile da ricordare per chi doveva controllare l'età dei piloti sulla pista a Gardena, vicinissima a Torrance. Una delle storie legate alla genesi del nome vuole che un compagno di classe al liceo, Billy Calder, avesse coniato il soprannome "Parnellie", fondendo Parnell con Nellie, una ragazza piuttosto interessata a Rufus.

Tutto il guidabile

Da lì prese il via la nuova identità (e l'età...giusta per correre) di Parnelli, con una "e" di meno e un suono più "italiano". Giunto in California nella morsa della Grande Depressione, trovò uno Stato che non aveva eguali nella varietà di corse disponibili: Torrance, nella regione di South Bay, era circondata da ovali di terra. La prima gara di Parnelli Jones avvenne al Carrell Speedway da mezzo miglio di Gardena nel 1952. Jones ha corso quasi tutto ciò che aveva un sedile negli Anni '50.

Nel 1958, nella California Racing Association (CRA) ottenne il titolo di Rookie of the Year. Nel 1959 divise gli impegni tra CRA, i velocisti dell'International Motor Contest Association (IMCA) nel Midwest e gli eventi USAC nell'est. Nel 1960 vince il titolo di auto sprint del Midwest (USAC) e nel 1961 porta a casa il primo campionato nazionale di auto sprint dell'USAC.

Indy 500

Da lì si aprono le porte della 500 Miglia di Indianapolis, allora autorizzata dall'USAC. Al debutto (1961) si qualifica quinto, conduce la gara per 27 giri e finisce dodicesimo. Nel 1962 stabilisce un nuovo record di qualifica con 150,370 mph, diventando il primo pilota a qualificarsi a più di 150 mph. Finisce settimo, nonostante il comando per 120 dei 200 giri. Nel 1963 vince con la grande roadster a motore anteriore di JC Agajanian, comandando per 167 dei 200 giri. Il 1963 è anche l'anno in cui Colin Chapman presenta a Indy una Lotus a motore posteriore, destinata a riscrivere la storia del catino.

Leggenda vuole che, poche ore dopo il pranzo post-gara, un alterco tra Eddie Sachs e Parnelli Jones finisse...a botte. Sachs affermava che la roadster di Jones avesse allagato di olio la superficie della pista, provocandone un testacoda. I toni della conversazione andavano accendendosi e Parnelli avrebbe minacciato Sachs: "Se mi chiami bugiardo di nuovo, ti colpisco dritto in bocca". Inutile aggiungere come sia andata a finire.

Basta pagare

Jones ha corso (e vinto) con auto di serie, auto sprint, IndyCar e qualsiasi tipologia di auto sportive...per chiunque lo pagasse, poco importa se la concentrazione per i campionati non fosse abbastanza. Parnelli ha vinto anche nella divisione stock-car della Pikes Peak Hill Climb del 1964, giusto per sottolineare ancora una volta l'adattabilità dell'americano.

Nel 1967 corre la sua ultima Indy 500. Andy Granatelli lo assume per guidare la STP-Paxton a turbina e a trazione integrale. Partito sesto, nel primo giro, Jones supera quattro vetture alla curva 1 e poi passa il poleman Mario Andretti. Conduce 171 dei 200 giri senza mai essere messo in discussione. A quattro giri dalla fine un cuscinetto del cambio mette fine alla cavalcata e A.J. Foyt firma la vittoria sul catino dell'Indiana.

Correrà nella SCCA Trans-Am e in altre serie di berline, parteciperà alla gara fuoristrada Baja 1000 nel 1968. Fonderà una scuderia con Velko "Vel" Miletich, la Vel's Parnelli Jones (VPJ) Racing, che vincerà da subito, anche a Indianapolis, nel 1970. Il futuro vedrà Parnelli con il suo team impegnato in svariate categorie. Correrà anche in Formula 1 dal 1974 all'inizio del 1976, anche se senza successo. Parnelli Jones correrà, da pilota, fino ai primi Anni Duemila, in quest'ultimo caso nelle corse riservate ai "master".

L'ingresso nella leggenda

La lunga lotta con il morbo di Parkinson priverà i paddock americani della sua presenza, nonostante la stampa lo abbia sempre cercato per rivivere un'epoca che non esiste più e una storia automobilistica incredibile. Da ieri, passando a miglior vita, Parnelli Jones è entrato nella leggenda.

"Sono il tipo di persona a cui piace vedere cosa c'è dall'altra parte della collina. Quindi, mi sono piaciute tutte le competizioni in cui ho preso parte. Certamente, mi è piaciuto partecipare alle gare della Baja oltre che semplicemente divertirmi. Naturalmente, vincere a Indianapolis è stata la cosa più straordinaria della mia carriera. È stato anche divertente perché mi sono adattato molto bene a Indy e ho avuto molto successo come debuttante."

Luca Colombo