Il rogo di Niki Lauda: all'inferno e ritorno
E' il 1° agosto 1976. Sul circuito del Nürburgring si svolge la 38° edizione del Gp di Germania, ottava prova della stagione. Il campione del mondo in carica Niki Lauda si presenta all'appuntamento sulla temibile Nordschleife dall'alto dei suoi 61 punti in classifica, frutto di cinque vittorie, due secondi ed un terzo posto. Il suo più immediato inseguitore, Jody Scheckter con la Tyrrell, è staccato di ben 31 lunghezze, mentre l'alfiere della McLaren, James Hunt, è terzo con 26 punti. Le condizioni atmosferiche sono incerte: la pista è ancora umida quando le 26 vetture si schierano per affrontare gli oltre 22 chilometri del cosiddetto "inferno verde" tedesco. Nelle prove, il miglior tempo è stato ottenuto da Hunt in 7'06"5, lontano dal record assoluto della pista fatto registrare l'anno precedente da Clay Regazzoni con la Ferrari 312T, il quale aveva girato in 7'05"4 a 192,791 km/h di media. Al suo fianco, il ferrarista Niki Lauda, mentre in seconda fila si posiziona la Tyrrell di Depailler e la March di Stuck. L'altra Ferrari di Regazzoni parte dalla 5° posizione, mentre nelle retrovie l'italiano Arturo Merzario scatta dalla 21° piazza, per un Gran Premio che, suo malgrado, lo vedrà salire in cattedra come protagonista. Al via, il comando viene preso da Regazzoni, con Lauda che parte male ritrovandosi ottavo, mentre nel corso del primo giro la March di Peterson recupera diverse posizioni, sino a ritrovarsi in testa sfruttando un errore del pilota di Lugano. Alla fine della prima tornata, molti piloti decidono di rientrare ai box per montare gomme slick, nel tentativo di sfruttare una pista ormai asciutta in molti punti. Tra di essi, anche Niki Lauda: l'austriaco rientra in pista nel tentativo di recuperare il terreno perduto rispetto ai leader della gara, ma in una veloce piega a sinistra nei pressi di Bergwerk, complice forse una chiazza di asfalto ancora umido, perde il controllo della propria Ferrari. La vettura si intraversa, picchia contro la parete di roccia posta all'estreno della curva e prende subito fuoco. Ma non è tutto: rimbalza in mezzo alla pista, dove viene centrata in pieno dalla Hesketh di Harald Ertl. Le fiamme avvolgono la Ferrari, e nei dintorni non c'è traccia di estintori, in un tracciato nel quale, complice la lunghezza, i soccorsi sono lenti e inadeguati. E così, lo stesso Ertl scende dalla monoposto, imitato da Brett Lunger e da Arturo Merzario, il quale si getta in mezzo alle fiamme ed estrae con l'aiuto dei colleghi l'austriaco dalla monoposto. Lauda viene adagiato sul prato: ha il volto sfigurato, nell'impatto ha perso il casco, ma è cosciente mentre viene caricato sull'ambulanza nel frattempo giunta sul posto. La gara riparte dopo circa un'ora, per i restanti dodici giri che vedono il successo finale di James Hunt, anche se è all'ospedale di Coblenza che si corre la gara più importante. Quella per strappare Niki Lauda alla morte, in seguito alle gravi ustioni riportate ed ai gas inalati durante gli interminabili secondi passati all'interno della vettura in fiamme. Ma l'austriaco ce la fa e, poco alla volta, recupera: il tutto mentre in Ferrari si fanno i nomi di Fittipaldi, Peterson e Reutemann per sostituire l'austriaco per il resto della stagione. Qualcuno, però, non ha fatto i conti con l'incrollabile forza di volontà di Lauda, il cui unico obiettivo è quello di tornare in pista il più presto possibile nel disperato tentativo di difendere il proprio titolo. E difatti, ad appena quaranta giorni di distanza dal rogo, Lauda è di nuovo in pista, a Monza per il Gran Premio d'Italia. Sotto il casco, il dolore e le ferite ancora sanguinanti non placano la determinazione dell'austriaco, che alla fine è incredibilmente quarto. Un tentativo che, nonostante tutto, si sarebbe rivelato inutile, con Lauda che avrebbe perso il Mondiale per un solo punto a vantaggio di Hunt, nell'epico duello finale sotto il diluvio del Fuji. Ma questa è un'altra storia, ancora tutta da raccontare, in una stagione dove mai il fattore umano fu più intensamente e drammaticamente presente. Ron Howard, realizzando il film "Rush", ci ha proprio visto giusto.
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