Budget cap, riduzione dei costi, piccoli team in crisi, terza vettura. Quello del caro-prezzi nel mondo della Formula 1 è un tema caldo da ormai diversi anni, ma a quanto pare una soluzione concreta che metta tutti d’accordo sembra ancora lontana. Ad aggravare il tutto, il calo di spettatori che inevitabilmente porterà a una riduzione degli introiti che tengono in piedi il Circus. Uno scenario decisamente preoccupante, in cui i primi a farne le spese sono quelli con il portafoglio meno capiente.

Lo “strategy group”, creato poco meno di un anno fa anche con l’intento di risolvere in modo concreto il problema, ha di fatto creato una spaccatura ancora più netta tra i top team e chi, invece, ha a disposizione budget enormemente più bassi. Se le varie Caterham, Marussia, Sauber, Lotus e Force India chiedono da tempo un tetto spese massimo, dall'altra parte i top team che fanno parte del nuovo organo ufficiale puntano invece (agendo in maniera poco "democratica") a una riduzione dei costi attraverso modifiche ai regolamenti, sia dal punto di vista tecnico che sportivo.

Le proteste non sono certe mancate, ma sono in molti a pensare che il tacito intento di Mercedes, Ferrari, Red Bull e McLaren sia quello di portare all'esclusione dei piccoli costruttori per fare spazio a dei team “clienti” cui fornire le monoposto. L'ipotesi della terza vettura, che per certi versi può essere pure affascinante, è dovuta anche al minimo obbligatorio di 20 macchine stabilito dal Patto della Concordia e diventerebbe quindi verosimile nel momento in cui qualche team dovesse ritrovarsi di fronte alla scelta obbligata di ritirarsi dal campionato.

Nel frattempo, la lotta per la sopravvivenza sta creando situazioni non certo ideali per squadre come la Caterham, dove è iniziato un toto-sedile che ha portato Andre Lotterer (a Spa) e Roberto Merhi (nelle libere a Monza) ad appropriarsi del sedile del povero Kamui Kobayashi. Anche perché, e qui casca l'asino, gli uomini in verde non possono permettersi di lasciare a piedi il tutt'altro che veloce Marcus Ericsson, che “bilancia” i suoi risultati deludenti con il suo apporto monetario.

Tra sedili comprati e sponsor utilizzati come dote per chiudere contratti milionari (che, intendiamoci, ci sono sempre stati, ma erano molto più trascurabili in tempi di vacche grasse) anche qui a rimetterci è la qualità del prodotto e la credibilità della Formula 1 come regina degli sport automobilistici. Se si arrivasse a una situazione che valorizza sistematicamente il portafoglio dei piloti a scapito del talento, tutto si trasformerebbe in una farsa che allontanerebbe ancora di più gli appassionati.

È legittimo pensare che, negli anni a venire, altri cambiamenti sostanziali potrebbero rivoluzionare nuovamente il volto della Formula 1. Ed è un peccato perché dopotutto, rumore o no, il campionato in corso è indiscutibilmente uno dei più avvincenti degli ultimi anni. Ma ciò nonostante, è evidente che il pubblico si sia disaffezionato e, anche nella più rosea delle ipotesi, non sarà facile riportare gli spettatori davanti alla tv e negli autodromi. È un cane che si morde la coda: meno pubblico, meno guadagni, meno soldi da spartire tra i team a fine stagione. Normale quindi che, ad esempio, si faccia fatica anche nella ricerca di possibili acquirenti di squadre già sommerse dai debiti. Con il mercato piloti in procinto di entrare nel vivo, potete scommettere che da qui ad Abu Dhabi la stagione 2015 potrebbe assumere connotati davvero inaspettati.

Stefano Russo

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