F1 | Bianchi, cosa è cambiato a sette anni dall'incidente?
Sono passati ormai sette anni da quel piovoso pomeriggio di Suzuka (mattina per noi italiani) in cui Jules Bianchi ha affrontato le sue ultime curve. Il francese se ne è andato lasciando un vuoto incolmabile nel Circus, ma la sua morte (avvenuta in un ospedale di Nizza nel luglio 2015, dopo circa 10 mesi di coma) non è avvenuta invano. Molto, infatti, è stato fatto da allora per migliorare la sicurezza, in pista ma anche sulle vetture.
L’incidente, poi l’indagine della FIA che si auto assolve
Il 5 ottobre 2014 sul tracciato di Suzuka si abbatte un vero e proprio nubifragio, tanto che la Direzione Gara è costretta a esporre bandiera rossa e fermare la gara. Alla ripartenza, le condizioni di aderenza sono a dir poco precarie, in particolare nella lunga curva 7, la Dunlop.
Proprio qui, al giro 42, Adrian Sutil, che precede Bianchi di poco, perde il controllo della sua Sauber e va a sbattere contro le barriere. Nulla di grave, il tedesco sta bene, e i commissari, ottenuto il via libera dagli stewards, mandano in pista una gru per rimuovere la vettura. Al giro successivo, accade la tragedia, che in televisione non verrà mai mostrata. Anni dopo uscirà sui social in un video girato da un fan seduto in tribuna all’altezza della Chicane Casio.
Jules arriva nello stesso punto intorno ai 200 km/h, perde il controllo della sua Marussia ed esce di pista. Sarebbe una normale escursione, magari con un botto violento contro le barriere ma nulla di più, se non ci fosse il mezzo di soccorso nella via di fuga. Bianchi va ad incastrarsi proprio sotto, e il casco non può reggere ad un urto così violento. Altamente simbolica l’immagine di Sutil che, dietro le barriere, fissa con sguardo stralunato la scena, impotente di fronte a tale disgrazia.
Le responsabilità sono evidenti, sia da parte della Direzione Gara che dei commissari in pista. L’indagine interna condotta da Charlie Whiting, però, non conduce a niente. La FIA in pratica si auto assolve da ogni responsabilità, nonostante si trattasse di una tragedia ampiamente evitabile.
L’introduzione della Virtual
A partire dalla stagione successiva, però, molte contromisure vennero prese in pista, per evitare il ripetersi di situazioni simili. L’innovazione più grande, almeno per quanto riguarda la gestione di gara, è stata sicuramente l’introduzione della Virtual Safety Car.
In pratica, si tratta di un regime temporaneo di gara in cui, in seguito a situazioni di pericolo come incidenti o vetture ferme a bordo pista, i piloti non possono superarsi e devono mantenere un ritmo costante, indicato sulla dashboard del volante. Molto simile alla classica Safety Car, senza però che la vettura di sicurezza sia costretta a scendere in pista, consentendo così (almeno in teoria) di accorciare i tempi di ripartenza.
Questa soluzione, tutt’oggi in uso, ha però spesso suscitato le ire di tifosi e piloti. Infatti, il sistema di calcolo del passo da mantenere per i piloti, ha spesso cambiato i valori in pista, andando a modificare distacchi precedentemente accumulati; inoltre, in fase di ripartenza, soprattutto nelle categorie minori, è facile vedere piloti più lesti di altri nell’uscire dalla modalità VSC, avendo così un vantaggio enorme.
Sempre più Safety Car e bandiere rosse
A far da contraltare alla VSC, c’è da dire che la Race Direction sempre più spesso in questi ultimi anni ha fatto uso della vettura di sicurezza. Molti fan hanno storto il naso di fronte a decisioni parse fin troppo conservative, in stile molto “americano”. Da sottolineare, però, come l’incidente di Bianchi abbia posto l’attenzione anche sulla sicurezza fuori dai confini del tracciato, specialmente quando i commissari stanno operando per rimuovere una vettura incidentata.
Allo stesso tempo, per facilitare ancora di più queste manovre in non trascorrere troppo tempo in fase di neutralizzazione, dall’arrivo di Michael Masi in plancia di comando abbiamo assistito ad un uso sempre maggiore delle bandiere rosse, con conseguenti ripartenze da fermi, che, volenti o nolenti, sono sempre foriere di spettacolo e emozioni.
La grande rivoluzione sulle monoposto: arriva l’Halo
Il cambiamento più grande, però, è sicuramente l’arrivo dell’Halo su tutte le macchine a partire dal 2018. Si tratta di una rivoluzione quasi “filosofica” del concetto di monoposto; in questo modo, infatti, la testa del pilota non è più scoperta, raggiungendo un livello di sicurezza prima impensabile. Osteggiato da tanti puristi, almeno all’inizio, il suo utilizzo sarà negli anni successivi esteso a praticamente tutte le categorie, e, a partire dal 2022, sarà installato anche sulle Tatuus di Formula 4.
Interessante la versione americana presente in Indycar: qui l’Halo è infatti integrato da un vetro paragonabile a quello dei jet. Il sistema prende il nome di Aero screen, e i piloti ne sono molto soddisfatti. Unica controindicazione, se vogliamo, per questo sistema, è l’utilizzo di un tubo di aerazione che va a innestarsi nella calotta superiore del casco del pilota, particolare non propriamente elegante ma funzionale.
Tanti i piloti salvati
I dubbi su questo sistema erano (e sono tutt’oggi) tanti, in particolare perché la sua implementazione ha tolto ancora visibilità agli spettatori, che ormai non riescono più a distinguere i piloti dal casco, o a vedere le mani nel momento in cui questi vanno a sterzare. Un dato, però, balza agli occhi: tanti sono stati i piloti salvati dall’Halo, inutile negarlo.
L’episodio più recente è sicuramente quello di Lewis Hamilton con Verstappen a Monza, ma il caso di Grosjean è sicuramente quello più eclatante. Il francese è uscito indenne dall’inferno del Bahrain grazie alla sua indubbia forma fisica, ma anche perché l’Halo ha protetto il suo capo dall’impatto con il guard rail che sarebbe stato fatale.
Insomma, da quella maledetta giornata giapponese sono stati fatti, fortunatamente, tanti passi avanti. Resta l’amaro in bocca, però, perché con una gestione più accorta della situazione, Bianchi sicuramente sarebbe stato ancora in pista, molto probabilmente vestito di rosso.
Nicola Saglia