La manovra, come ovvio che fosse, era valsa all’olandese un penalty di 5 secondi, abbastanza per permettere a Vettel di salire sul podio dopo una durissima manovra di difesa nei confronti dell’altra Red Bull di Ricciardo. Sembrava risolta così, ma invece, oltre al danno in pista, per Seb è arrivata anche la beffa 3 ore dopo. Il quattro volte iridato infatti, ha subìto una penalità di 10 secondi per essere stato (a dire dei giudici) troppo aggressivo nel proteggersi dagli attacchi dell’australiano Red Bull che arrivava da dietro. Quinto posto finale dunque per il pilota Ferrari, con entrambe le “lattine” là davanti nel cronologico.

Ma è finita qui? La logica inviterebbe a pensare che sia così… E invece no!! Vediamo di spiegare perché: come noto a tutti, durante i “problemi” in pista con Verstappen, Sebastian Vettel ha scaricato la propria rabbia del momento e l’eccesso di adrenalina mandando allegramente a quel paese Charlie Whiting in diretta radio. La parole andate in onda in mondovisione e pronunciate da Seb (che pretendeva un intervento immediato da parte del direttore di gara per il comportamento del figlio di Jos), sono state: “Messaggio per Charlie: vaff…. ! Sul serio però: vaff….!”.

E’ ovvio che l’episodio non avrà sicuramente reso felice il direttore di gara, ma il problema non deriva solo da questo. Con quelle parole infatti, Vettel avrebbe infranto l’articolo 151C, il quale giudica contro il regolamento pronunciare parole, compiere atti o scritti, che possano in qualche modo ledere o mancare di rispetto alla FIA, ai suoi membri o ai suoi dirigenti. La stessa Federazione però, attraverso un comunicato reso noto nelle scorse ore, ha fatto di sapere di aver "perdonato" il pilota tedesco. Almeno in questa occasione, visto che qualora si dovessero ripetere altri episodi analoghi, potrebbe scattare una multa salata o addirittura la squalifica per una gara.

Ovviamente non sono mancate le scuse ufficiali da parte del pilota Ferrari, arrivate sia tramite i mass media, sia di persona, e persino con una lettera privata destinata a Whiting. La FIA ha così motivato la propria decisione: "Alla luce delle sincere scuse e dell'impegno volto a mostrare di voler riparare a quanto successo, il presidente della FIA in via del tutto eccezionale ha deciso di non procedere con sanzioni disciplinari nei confronti di Sebastian Vettel, evitando di portare la questione davanti al Tribunale Internazionale della FIA".

Sulla questione non erano comunque mancate le pressioni da parte della Red Bull, che per bocca del ds Chris Horner aveva chiesto la linea dura nei confronti di Vettel: “Non puoi insultare l’arbitro di uno sport come ha fatto Seb: ha mancato di rispetto a lui e ai tifosi che ascoltavano, e saremmo molto sorpresi se riuscisse a cavarsela senza provvedimenti disciplinari”.

Ad ogni modo chi ne esce peggio da tutta la vicenda è la stessa immagine della Formula Uno. Una volta era uno sport “maschio”, dove si lottava con sportellate, manovre al limite, e a volte anche con qualche “scappellotto”. La Federazione interveniva solo quando necessario, e in caso di bisogno le penalità erano severissime ma giuste. Quanti duelli “cruenti” potremmo trovare infatti negli annali, che con le interpretazioni di oggi non potrebbero assolutamente avere luogo?

Oggi ci troviamo di fronte ad uno spettacolo/farsa, dove se sorpassi devi prima mettere la freccia e lampeggiare coi fari mentre suoni il clacson, senza dimenticare che definiamo “sport” un palcoscenico dove è il giudice a decidere chi vince e chi perde, il quale anziché pensare a come punire i piloti scorretti, valuta se squalificare o meno un driver che in un momento di rabbia per una scorrettezza subìta, nella sua monoposto, con la sua radio, parlando con la sua squadra, ha soltanto detto una cosa che magari non pensa nemmeno.

Che senso ha? A chi serve tutto questo? La gente vuole vedere le “gare”, nel vero senso della parola. E poi, se non si vuole rischiare di sentire cose che non piacciono dai team radio, basta smetterla di rendere pubbliche le conversazioni, così com’era un tempo. A volte, un “mea culpa” e un passo indietro, possono davvero fare la differenza…

Daniel Limardi

 

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