F1 | In ricordo di Enzo Ferrari: i cinque piloti più amati dal Drake
Il 14 Agosto 1988 se ne andava il leggendario fondatore del Cavallino Rampante: ma quali furono i piloti con cui instaurò un rapporto speciale?
Ricordare una figura del calibro di Enzo Ferrari, nel trentaseiesimo anniversario della sua scomparsa, non può e non deve rappresentare un puro esercizio di retorica. Tutt'altro: la sua personalità complessa, misteriosa ed in ogni caso affascinante, offre ancora oggi molteplici spunti per essere ripercorsa, rivissuta e per certi versi reinterpretata. Oltre a quello con le sue auto da corsa, il Drake ha saputo raccontare (venendo a sua volta…raccontato) il rapporto con i piloti che hanno varcato la soglia del suo ufficio a Maranello. Relazioni talvolta complicate o persino burrascose: eppure, c'è chi è riuscito a fare breccia nel cuore del Commendatore più di altri.
Piloti, che gente…
Lungi dal voler stilare una semplice graduatoria su chi siano stati i piloti “preferiti” da Enzo Ferrari nel corso della sua esistenza, è ben deducibile anche rileggendo le pagine del volume “Piloti, che gente…” come alcuni di essi abbiano potuto godere di un rapporto privilegiato con il grande Capo. Vuoi per la loro velocità in pista, per il loro “attaccamento” alla causa, o più semplicemente per doti caratteriali che ben si addicevano con una personalità a volte rude e scontrosa come quella di Ferrari. Il quale, per sua stessa ammissione, non volle mai legarsi troppo ad ognuno di essi: le tante tragedie vissute in pista, specialmente a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, avevano finito per segnarlo profondamente, quasi quanto la scomparsa dell'amato figlio Dino, morto a soli 24 anni per distrofia muscolare nel 1956.
Eppure, dietro quegli occhiali dalle lenti scure, lo sguardo del Drake aveva finito per illuminarsi in più occasioni, vedendo le proprie monoposto affidate a piloti capaci di regalargli un'emozione particolare. Lui, che pilota era stato in giovane età, e che aveva conosciuto bene le peculiarità del mestiere, nonché tutti i rischi ad esso connessi. Di sicuro, e questo lo affermiamo in maniera forse un po' “romantica”, vi sarebbero stati altri piloti che si sarebbero potuti aggiungere a questa lista dopo la sua scomparsa: impossibile non pensare a Michael Schumacher, a Jean Alesi e (perchè no?) anche a Charles Leclerc. Piloti con il Cavallino nel cuore, al pari di coloro che, per oltre quarant'anni, hanno contributo a rendere Enzo Ferrari particolarmente orgoglioso delle sue “creature”.
Tazio Nuvolari
La leggenda narra che Ferrari decise di appendere definitivamente il casco al chiodo una volta ritrovatosi a confronto con il “mantovano volante”, ai tempi già in grado di mostrare tutto il proprio innato talento anche nell'automobilismo dopo i successi conquistati con le moto. In realtà, nei primi anni Trenta Ferrari era ormai sempre più assorbito dalla propria attività manageriale, destinata a prendere il sopravvento rispetto a quella di pilota: era infatti datata 1929 la nascita della Scuderia Ferrari, la quale inizialmente ebbe modo di schierare vetture fornite in esclusiva da Alfa Romeo. Proprio al volante di una P2 schierata dalla squadra modenese, Nuvolari fece il proprio esordio l'anno successivo nella gara in salita Trieste-Opicina, inaugurando con un successo il nuovo sodalizio. Un ciclo che sarebbe presto divenuto vincente, ma caratterizzato da una serie di alti e bassi: dopo il divorzio maturato nel 1933, quando “Nivola” decise di mettersi in proprio, la collaborazione tornò in auge due anni più tardi, prima del passaggio all'Auto Union che precedette lo scoppio della seconda guerra mondiale. A conflitto terminato, Nuvolari ebbe ancora modo di difendere i colori della Scuderia Ferrari nella Mille Miglia del 1948, prima del definitivo ritiro e della scomparsa avvenuta nel 1952.
Ferrari descrisse così i motivi che rendevano la guida di Nuvolari più redditizia rispetto agli avversari e unica nel suo genere:
In curva puntava il muso della macchina contro il margine interno. Per l’intero arco sbarbava la cordonatura interna, e quando si apriva il rettifilo la macchina si trovava già in posizione per proseguire dritta senza necessità di correzioni
Alberto Ascari
Primo pilota a portare un titolo iridato a Maranello, Alberto Ascari ebbe il privilegio di godere anche di un rapporto di stima e fiducia reciproca con il Drake, ai limiti dell'amicizia. Il suo primo approccio con la scuderia modenese risale alla Mille Miglia del 1940, ma fu con la nascita del Mondiale di Formula 1 che il binomio tra Ascari e la Ferrari si incanalò verso i binari del successo: a conferma di ciò, la conquista di due titoli iridati nel 1952 e 1953, prima della decisione di puntare sulla Lancia come nuova scommessa. Proprio a bordo di una Ferrari 750 Sport, Ascari avrebbe trovato la morte sul circuito di Monza il 26 maggio 1955.
Pilota completo e dotato di grande intelligenza, venne ricordato con queste parole da Ferrari nel libro “Una vita per l'automobile”:
Era dotato di una ferma volontà, sapeva ciò che voleva, era puntiglioso: uno dei pochi, per esempio, che si preparasse atleticamente alla competizione automobilistica. Il pilota Alberto Ascari aveva uno stile preciso e deciso, ma era l’uomo che aveva bisogno di partire in testa. Ascari in testa era difficilmente superabile; oserei dire che era impossibile superarlo. Ascari relegato in seconda posizione, o più indietro, non era il combattente che io avrei desiderato di avere in certe occasioni.
Peter Collins
Una scelta forse inaspettata, visto che il pilota britannico non è stato certo tra i più vincenti nella storia del Cavallino. Per lui un totale di tre successi in Formula 1, tutti al volante di monoposto di Maranello, che però non furono sufficienti per consentirgli di coronare il suo sogno di centrare l'alloro iridato. Eppure, il gentiluomo di Kidderminster sarebbe passato alla storia per il suo gesto che, nell'ultima gara della stagione 1956, lo vide cedere il volante della propria monoposto (allora il cambio pilota era consentito) al suo caposquadra Juan Manuel Fangio, che così riuscì a conquistare il suo quarto titolo mondiale. Il tutto nonostante lo stesso Collins avesse ancora la teorica possibilità di potersi aggiudicare il successo. Purtroppo, il suo momento non sarebbe mai arrivato: due settimane dopo aver conquistato il successo in casa a Silverstone, fu vittima di un terribile incidente che gli costo la vita al Nürburgring, sempre al volante di una Ferrari. La sua classe, eleganza, velocità e conoscenza del mezzo meccanico lo avrebbero reso tra i più apprezzati dal Drake.
La sua passione per le corse era pari alla passione e alla competenza meccanica. Peter era l’uomo che montava su una macchina e al primo giro di percorso sapeva individuare l’esatto regime di coppia massima del motore, il regime massimo al quale conveniva sfruttarlo e cambiare le marce per ottenere il miglior rendimento, e così via. Era un pilota, in una parola, che assimilava la macchina, ne intuiva le possibilità e sapeva indicarle ai tecnici con buona approssimazione, spesso con precisione assoluta. Un elemento prezioso per la messa a punto e lo sviluppo della vettura. In corsa era consistentemente veloce e, soprattutto, era irriducibile.
Gilles Villeneuve
Tra i tanti piloti affacciatisi dalle parti di Maranello, probabilmente è stato il “canadese volante” quello capace di entrare maggiormente nel cuore del Commendatore. Al punto da creare un legame unico, quasi da padre e figlio, spezzatosi soltanto dal tragico destino compiutosi a Zolder l'8 maggio 1982. Un amore imprevisto, inaspettato, visto che in pochi avrebbero scommesso su quel pilota semi-sconosciuto alla fine del 1977: eppure fu proprio lo stesso Ferrari a crederci ciecamente, quasi a voler andare a caccia di una nuova scommessa dopo la burrascosa fine del rapporto con Niki Lauda. Gilles fu capace di imprese epiche, facendo innamorare i tifosi di tutto il mondo e ritagliandosi uno spazio speciale nel cuore del ‘Grande Vecchio’. Che lo descrisse così:
Quella di Villeneuve fu un’assunzione a sorpresa, che scatenò un plebiscito di critiche, forse giustificate in quel momento. Di Gilles avevo avuto informazioni da un amico che risiede in Canada, da Chris Amon e da Walter Wolf che si era valso di lui in alcune gare della categoria CAN AM. Lo vidi poi in televisione, in corsa a Silverstone su una McLaren. La sua origine era curiosa: idolo delle motoslitte e vincitore del campionato Atlantic. Assunsi la decisione di ingaggiarlo, indotto dalla convinzione che con un’adeguata preparazione è possibile, se esistono predisposizioni e talenti naturali, “costruire” un pilota. Villeneuve, con il suo temperamento, conquistò subito le folle e ben presto diventò… Gilles! Sì, c’è chi lo ha definito “aviatore” e chi lo valutava svitato, ma con la sua generosità, il suo ardimento, con la capacità “distruttiva” che aveva nel pilotare le macchine macinando semiassi, cambi, frizioni, freni, ci insegnava cosa bisognava fare perché un pilota potesse difendersi in un momento imprevedibile, in uno stato di necessità. È stato campione di combattività e ha regalato, ha aggiunto tanta notorietà alla Ferrari. Io gli volevo bene.
Michele Alboreto
L'ultimo pilota italiano a vincere con la Ferrari, l'ultima scommessa di Enzo Ferrari. Che per lui decise di rinunciare ad un ostracismo sempre più diffuso nei confronti dei piloti di casa nostra, rompendo un digiuno che durava ormai da svariati anni. Eppure il pilota milanese, dotato di uno stile pulito e redditizio, aveva ben presto finito per convincere il Drake. Il quale puntò su di lui già nel corso della stagione 1983, nonostante il suo debutto in Formula 1 risalisse solo a due anni addietro con la Tyrrell, per poi farlo esordire con la Rossa a partire dal 1984. Una scommessa che si rivelò ben presto vinta: un successo a Zolder il primo anno, seguito da una cavalcata che l'anno successiva si sarebbe molto probabilmente conclusa con il titolo iridato, se le scelte tecniche adottate dal Cavallino a metà stagione non avessero di fatto tarpato le ali al sogno di rivedere un italiano laurearsi campione del mondo con la Ferrari. Un rimpianto che avrebbe accompagnato lo stesso Ferrari anche nei suoi ultimi anni di vita, con l'amara frase: “Noi a Michele dobbiamo un Mondiale”:
È veloce, di bello stile: doti che mi rammentano Wolfgang von Trips, al quale Alboreto somiglia anche nel tratto educato e serio. Ho sostenuto che è fra i sei migliori della Formula 1 e che con una macchina competitiva non sprecherà certamente l’occasione di diventare campione”
Impossibile non concludere con una riflessione dello stesso Ferrari, sempre tratta dal suo celeberrimo “Piloti, che gente…”
Piloti, che gente... Maestri del calcolo, campioni di cinismo, primatisti della sconsideratezza o soltanto uomini, che cercano nell'esaltante fremito della vittoria il senso della loro vita?
Marco Privitera