Daniel Ricciardo F1 Singapore Visa CashApp RB
Credits: Getty Images / Red Bull Content Pool / AAK8HPAS5H0HCWBTYJZP

C'era una volta un pilota australiano di evidenti origini italiane spesso protagonista, suo malgrado, delle più ispirate interviste di Stella Bruno, importatore di un modo…igienicamente discutibile di festeggiare la vittoria (bere lo champagne da una scarpa) e segnalato come un possibile campione del mondo negli anni a venire. Da ieri, quel pilota così guascone e così interessante non corre più in F1, silurato apparentemente dall'oggi al domani nella maniera più secca ed irritante possibile.

Nella buona e cattiva sorte

Daniel Joseph Ricciardo ha legato il suo nome, nella buona e nella cattiva sorte, a Red Bull, coprendo tutti i ruoli possibili ed immaginabili: dalle stelle alle stalle, da pilota numero uno a tappabuchi, da ragazzo prodigio ad elemento avulso e quindi scaricabile. Il programma junior del colosso delle bibite energetiche lo porta inizialmente in F1, prima con una stagione "giro di giostra" in HRT, poi con due anni di Toro Rosso e infine in prima squadra, nel 2014.

Qui, nel contesto della precoce supremazia turbo ibrida Mercedes e con Sebastian Vettel in direzione Ferrari, vince tre gare, annichilendo il tedesco quattro volte campione del mondo, ormai fuori dalla routine della scuderia. Questo fenomenale risultato lo avrebbe dipinto come "Daniel Ricciardo, the next big thing", ma sarebbe diventato un peso nel momento in cui (come quando si gioca un'inversione di giro a Uno) da pilota di punta in seno a Milton Keynes diventa il numero due di fatto, nei confronti di un altro pilota, sempre di scuola Red Bull, che sembra avere i numeri che furono di Vettel: Max Verstappen.

Del resto, Red Bull Racing sui piloti segue le indicazioni, spesso repentine e bizzose, del consulente Helmut Marko.

Andata e ritorno

Daniel "non sente più amore" e se ne va via da Milton Keynes, non senza sbattere la porta, alla fine del 2018. Approda in Renualt e sfoggia un nuovo casco con una scelta discutibile di colori e un motto, “Stop being them”: un monito a seguire noi stessi, le nostre inclinazioni, senza scendere a compromessi. In un certo senso il pilota di Perth non scenderà mai a compromessi con il suo stile di guida, che progressivamente lo "appiattisce" con vetture larghe e pesanti. Daniel, pilota che nell'immaginario dei tifosi è un futuro campione del mondo, non trova chi lo ascolti nella definizione tecnica delle monoposto: succede in Renault e si ripete in McLaren, che non rinnova l'opzione del terzo anno e lo appieda.

Corteggiato, ma poi lasciato, dalla Ferrari, come in una stanza degli specchi dove uno pensa che il villanzone di turno si trovi lontano e invece è dietro alle spalle pronto a sferrare il colpo, la Red Bull lo riprende a bordo, come terzo pilota, per il 2023. In retrospettiva, il figliol prodigo Daniel non è più un pilota su cui la scuderia potrà puntare, ma rappresenta una pedina della strategia psicologica, quasi sicuramente a firma Helmut Marko, per mettere pressione ed operare una sostituzione "in house" ad un sempre meno convincente Sergio Perez. Una sostituzione "in house" strana, perché il programma junior non riesce più a portare nel Circus prospect di un certo peso.

Avanti il prossimo

La concorrenza degli altri programmi, il nulla come picco prestazionale nel capitale umano del dopo Verstappen, nonché lo scarso interesse nel consolidare il "concetto" di quella che ora è la Visa CashApp RB hanno portato il programma junior della Red Bull in uno stato di impasse. Uno stato e una situazione che Helmut Marko gestisce nell'unica maniera che conosce: la girandola di piloti, questa volta al volante della scuderia ‘B’ di casa. Nyck De Vries prima, Daniel Ricciardo ora, forse Liam Lawson e Isack Hadjar in futuro: Riccardo Cocciante cantava "avanti il prossimo / gli lascio il posto mio / povero diavolo / che pena mi fa" e la strofa riassume perfettamente la situazione.

Probabilmente, già da qualche tempo Daniel Ricciardo non ne aveva più, ma sicuramente non meritava un benservito come quello ricevuto. Con l'ultima gara che se ne va in archivio con la mestizia di un inutile giro veloce, segnato per l'economia del campionato di quel Verstappen che corre in prima squadra, in un gioco delle tre carte tra due scuderie che, in teoria (per le anime candide), dovrebbero comportarsi da rivali. Di sicuro Daniel non meritava una passerella finale da fantoccio, mosso come una marionetta dalle discutibili strategie sui piloti dettate dal gruppo Red Bull: Helmut Marko dovrebbe ben sapere che le parabole di Vettel e Verstappen hanno seguito modelli di sviluppo ben diversi.

Buona vita Daniel Ricciardo, stappiamo una bottiglia e beviamo (non dalla scarpa) alla tua salute.

Luca Colombo