Peccato. E' l'unica cosa che viene in mente dopo la delusione formato Mondiale 2017. La Ferrari c'è e c'è stata per tutto il campionato. In crescendo, come non aveva più abituato da molti anni. Forse la macchina migliore della stagione: non ha il miglior motore, non ha il migliore telaio, nè la migliore aerodinamica. Ma funziona bene; su tutte le piste, è gentile con le gomme, riesce a mandarle in temperatura in fretta e a sfruttarle al meglio. L'affidabilità, come si è visto nelle ultime tre gare, non è il suo punto di forza, ma non cambia il giudizio positivo su questa macchina e il lavoro del gruppo guidato da Mattia Binotto. I risultati hanno accompagnato la crescita della Sf70-H, che per tutta la stagione non è stata inferiore alla Mercedes tranne che a Silverstone e Monza, piste fatte su misura per la Mercedes, dunque sconfitte che non sorprendono. Ma fin dalla prima gara invece (vinta peraltro), la Ferrari si è distinta per la duttilità della propria macchina, facile nella messa a punto e capace di sfruttare egregiamente gli pneumatici. Finestre di utilizzo delle gomme che hanno contraddistinto i successi rossi nella prima parte di stagione, mentre la Mercedes conservava ancora una certa superiorità a livello di potenza pura della power unit. Lo sviluppo della Ferrari si è poi concentrato sul motore per colmare proprio questo gap in termini di cavalli, raggiungendo risultati importanti come la gara di Spa, in cui su un circuito nettamente favorevole a Mercedes si è sfiorata la vittoria.

E' stato l'apice della stagione rossa, prima del collasso iniziato a Monza. In un mese e mezzo Vettel è passato dal guidare la classifica piloti al salutare, di fatto, il sogno mondiale: il vantaggio si è fatto più risicato, poi il sorpasso di Hamilton a Monza. 3 punti in più, saliti poi a 28, 34 e infine 59. Ora che il pensiero del titolo è pressoché perduto, saranno dieci le stagioni in cui il titolo manca da Maranello, un'eternità considerati i fasti dei primi anni 2000. Dieci anni in cui poche volte come in questa stagione la squadra è stata competitiva, ma soprattutto ha saputo mostrare margini di crescita incredibili e risollevarsi rispetto all'anno precedente. Dalle zero vittorie del 2016 all'exploit di quest'anno la crescita ha sorpreso tutti, principalmente i rivali. D'altronde dopo Singapore era giusto rischiare per recuperare; se spingi troppo, rompi, un adagio che si conferma sempre valido nel mondo delle corse. Le macchine si rompono e i piloti possono sbagliare; come Vettel a Baku e a Singapore, errori che in termini di punti pesano (forse 40 quelli persi) e rimarranno episodi determinanti nella storia di questa stagione.

Così come la Caporetto d'Asia: tre gare da vincere, tre gare sicure per la Ferrari che hanno portato la miseria di 22 punti tra entrambi i piloti e ritiri, un doppio incidente, affidabilità ai minimi storici. Che i problemi siano attribuibili a componenti di fornitori esterni (curioso che l'elemento che costa il Mondiale alla Ferrari nel Gran Premio del Giappone sia proprio fornito da un'azienda giapponese) non rende la sconfitta meno pesante nè alleggerisce di responsabilità la squadra. Che ha fatto un lavoro eccelso, e ha senz'altro gettato le basi per costruire una macchina ancora migliore in chiave 2018. Un gruppo di lavoro che funziona e ha mostrato progressi eccellenti, e che speriamo non venga rivoluzionato a fine stagione. L'affidabilità che è mancata è figlia della ricerca estrema della prestazione, con un percorso di sviluppo forse forzato, forse accelerato per rischiare e raddrizzare una stagione che da trionfante è diventata sempre più difficile. Qualcuno tira perfino in ballo l'allontanamento di Lorenzo Sassi dalla guida del reparto motoristico della squadra che potrebbe aver in qualche modo destabilizzato il reparto. 

Può essere tutto o niente, ma che non si critichi questa squadra. Hanno fatto accarezzare un sogno agli italiani, più da vicino di chiunque altro negli ultimi anni. Per questo, in fondo, solo applausi.

Stefano De Nicolo'