Prendi un pomeriggio qualsiasi. Uno di quelli pigri, appesantiti dall'indolenza di fine estate. Uno di quelli che...perchè no? Ma anche sì. Perchè tu sei a Spa, fuori dalla sala stampa c'è l'Eau Rouge e che fai? Non ci vai? Chiaro che sì. Ma il tempo minaccia pioggia. Che fai non ci vai? Ci vai lo stesso. 

La strada per arrivarci è breve, ma di fatto lunga. Si snoda tra un tunnel zeppo di tifosi eccitati dal sound e dalla velocità delle macchine che corrono a pochi metri da loro, tribune, chioschi di birra. Ma tu hai fretta, un sacco fretta. Sei in possesso della magica pettorina dei fotografi e puoi accedere a bordo pista. Talmente vicino da sentire lo spostamento d'aria delle macchine; talmente vicino che dei marbles di gomma saltano fino a pochi centimetri da te. Sei così vicino che senti l'odore di gomma che brucia sull'asfalto per garantire il grip in quella curva impossibile. Senti l'odore del fondo delle macchine che gratta e si consuma sull'asfalto al fondo della compressione. 

Le macchine girano, in maniera quasi ipnotica: tutti spingono al massimo in simulazione di qualifica. La folla pochi metri alle tue spalle urla, incita, spinge i loro preferiti. L'altoparlante gracchia, spara rumori che tu non cogli perché sei troppo vicino alla pista, troppo vicino all'azione per prestarvi orecchio. Il rumore di queste macchine non è quello dei tempi d'oro, ma è rotondo e gentile, senza aggredire con brutalità i timpani e il cuore. Riempie l'aria di un rombo profondo che aggredisce invece l'anima e la fantasia, perché di là dal guard rail vanno così veloce che si fa in tempo a vederli arrivare che già sono lontani. Ti senti un privilegiato, lì a pochi metri dalla pista. Gli eroi di tante battaglie corrono accanto a te, potresti quasi toccarli: senti la loro aura, che emana dalle macchine sotto forma di calore, energia, emozioni. 

Poi il cielo si copre e inizia a cadere la pioggia. Leggera, poi insistente, fino a diventare torrenziale. Succede in pochi minuti però. Il tempo di rimettersi in marcia per tornare indietro ed è già troppo tardi. Il sentiero che corre dietro al guard rail diventa un canale scivoloso, pieno di pietre e fango. Lentissima la marcia in quella striscia di terra larga quanto una delle scarpe che indosso. La guardiola dei marshall che molti fotografi hanno eletto a rifugio è lontana. Così, quando ci arrivo, sono ormai zuppo. Si attende la fine della pioggia aspettando che riprenda la sessione, ma quella ormai è finita e non c'è molto da fare se non tornare in sala stampa. Ma io rimango per qualche altra foto, ora che la pioggia è leggera: il tempo per trovare qualche altro scatto suggestivo prima di rientrare.

Ma c'è un ultimo ostacolo da superare per tornare verso il paddock: un cancello chiuso, alto e severo. Lo steward che lo controlla non ha la chiave. "Stai scherzando"? Non scherza. La chiave ce l'ha la FIA (dice lui), ma è belga, e io sono convinto che non ami gli italiani, per cui pensare al tranello è un attimo. "Devi scavalcare" dice, "ti do io il permesso". Tra il serio e il faceto lo guardo, sbigottito ma divertito. Scavalco il cancello e salto dall'altra parte, ma scivolo in una pozzanghera e in un attimo gli dei del cielo sono più vicini. 

Torno indietro scottato dalla mia gita e da quel sentimento sempre guascone che mi fa sempre dire "ancora un po'". Sono bagnato fino nelle mutande e torno in sala stampa con un sorriso sarcastico. La mia gita in pista è durata un'oretta, ma rimarrò bagnato fino a stasera. Poco male, mi vengono in soccorso i pantaloncini che avrei dovuto usare per andare a correre in pista.

Dove sono andato in effetti, ma ci sono corso via. Oggi niente giro di pista, mi servono vestiti asciutti. Vado a cambiarmi. 

Da Spa Francorchamps - Stefano De Nicolo'    

 

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