F1 | GP Australia 2020: una scommessa persa malamente
Ripercorriamo la storia del GP d'Australia di F1 dando uno sguardo critico all'edizione non corsa del 2020, in piena emergenza Coronavirus

In merito al GP d'Australia del 2020 sappiamo relativamente poco, se non per la cronologia del rapido susseguirsi degli eventi e la repentina decisione di annullare la gara, con i tifosi praticamente in fila fuori dai cancelli del circuito. In un universo, quello del Circus, che nell'immaginario comune si muove velocissimo, la decisione era arrivata alla fine di un processo caratterizzato da un'imbarazzante lentezza.
A cinque anni dall'esplosione del Covid-19 abbiamo messo alle spalle (e quasi del tutto dimenticato) le dinamiche legate alla fase iniziale della pandemia, caratterizzata dalla rapida diffusione di un virus di cui si conosceva pochissimo, se non quelle informazioni (poco attendibili) provenienti dalla Cina. Analizzando quanto successo per il GP d'Australia del 2020 ne viene fuori un quadro poco edificante per il Circus, dove le varie "teste" impegnate nell'organizzazione dell'evento hanno tentato l'azzardo di portare avanti la competizione, perdendo clamorosamente.
Giorni frenetici
In una dichiarazione rilasciata qualche tempo fa, l'organizzatore del Gran Premio d'Australia, Andrew Westacott, ricordava i giorni frenetici che avevano introdotto il fine settimana della gara del 15 marzo 2020:
"C'era molto nervosismo alla fine di febbraio e all'inizio di marzo. Avevamo lavorato molto e ci aspettavamo di correre la gara, perché bastava guardare cosa era successo con la finale di cricket femminile, la domenica prima, con 85.000 persone sugli spalti. Siamo stati in grado di aprire il tracciato ed operare il giovedì successivo dell'evento, ma è cambiato tutto nel giro di un giorno e mezzo".
La "taglia" temporale suggerita da Westacott fornisce un'idea di quella che era la situazione: se, per assurdo, la gara in Australia (che avrebbe dovuto essere la prima della stagione) fosse stata programmata una settimana prima, probabilmente avrebbe visto un regolare svolgimento. Il "nemico invisibile", tuttavia, aveva già fatto evolvere lo scenario globale, per cui, una volta che il Circus era atterrato a Melbourne per la gara di metà marzo, il Covid-19 aveva già comportato alcune scelte restrittive.
Il mercoledì prima della gara l'OMS aveva innalzato lo stato del Covid-19 a pandemia e i focolai stavano imponendo divieti di spostamento in tutto il mondo, con le famose liste "nere" degli aeroporti (solo due giorni prima dell'apertura dei cancelli a Melbourne, il governo federale australiano aveva aggiunto l'Italia tra le mete da evitare). L'ente organizzatore del GP di F1, nel frattempo, aveva deliberato delle misure "igieniche" (molto blande, in retrospettiva) da applicare in pista, proprio nei giorni in cui il campionato NBA negli USA aveva sospeso la stagione 2019/20. A tal proposito Westacott aveva aggiunto:
"Comprensibilmente c'era un alto grado di cautela, gli europei soprattutto. Non si stringevano la mano, mantenevano le distanze e avevano iniziato a indossare le mascherine all'arrivo al circuito. Tutto questo era nuovo per noi. Noi ci aspettavamo ancora di svolgere l'evento, tuttavia loro si assicuravano anche che le persone si sottoponessero ai test per eventuali sintomi".
Aria di fiducia?

Il giovedì del GP le scuderie avevano effettuato i rituali giri di pista a piedi, mentre i tifosi stavano per arrivare ai cancelli. Proprio all'apertura dell'evento, Lewis Hamilton aveva rilasciato la dichiarazione passata alla storia per il riferimento al "denaro sovrano", nella quale aggiungeva:
"Sono davvero molto, molto sorpreso di essere qui. Per me è scioccante essere tutti seduti in questa stanza. Ci sono così tanti fan qui oggi e sembra che il resto del mondo stia reagendo probabilmente un po' in ritardo, ma già questa mattina vediamo Trump chiudere i confini dall'Europa agli Stati Uniti, vediamo che il campionato NBA è stato sospeso, eppure la F1 continua ad andare avanti".
Le sfide per il proseguimento della stagione di F1 erano sempre più evidenti (il Bahrain stava pensando ad una gara "a porte chiuse", gli aeroporti "transitabili" diventavano sempre meno e molti organizzatori stavano valutando manovre restrittive), ma a Melbourne tirava aria di fiducia: in Australia sarebbe andata bene e quindi il fine settimana avrebbe seguito il suo corso. Il Circus stava evidentemente giocando con il fuoco, perché in quella situazione bastava un solo contagio per entrare in una situazione di emergenza, senza avere gli strumenti necessari per affrontarla.
I primi campanelli d'allarme erano suonati proprio nella preparazione dell'evento, quando Haas e McLaren avevano messo in auto-isolamento membri della scuderia che avevano manifestato sintomi compatibili con il Coronavirus. Quasi a ridosso delle dichiarazioni di Hamilton, le agenzie battevano la notizia per cui nove persone al circuito dell'Albert Park erano state sottoposte al test per il Covid-19, con risultati in sospeso. Bastava un solo contagio per mettere in discussione il castello di carte costruito dagli organizzatori: ça va sans dire, a fronte della negatività di otto persone, si segnalava la positività di un meccanico della McLaren. Il lungo effetto domino era stato innescato.
Una scommessa persa
McLaren aveva assunto le proprie responsabilità e, non appena comunicato alle autorità sanitarie competenti il test positivo, Zak Brown aveva notificato il ritiro della scuderia dal fine settimana di gare. Brown aveva comunicato la decisione intorno alle 22:30 locali, ma F1, FIA ed ente promotore della gara non avevano fatto nulla, se non aprire un tavolo di gestione della crisi e lanciare un laconico tweet: "Formula 1 e FIA si sono coordinate con tutte le autorità competenti sui prossimi passi. La nostra priorità è la sicurezza dei fan, dei team e di tutto il personale in gara".
Le scuderie avevano deciso di trovarsi al Crown Hotel di Melbourne, mettendo ai voti (in un estenuante tira e molla) se continuare o meno con il fine settimana. Di questa gestione della crisi Westacott aveva detto:
"A quel punto ci sono stati incontri con i team, che parlavano con la FIA e i loro quartier generali in Europa, e noi eravamo al telefono con il governo, con il responsabile medico, Brett Sutton. Abbiamo parlato anche con Chase Carey, prima che salisse su un aereo [per sondare la situazione da vicino in Vietnam e Cina, ndR] da Hanoi a Ho Chi Minh, poi da Ho Chi Minh City a Melbourne".
La notte era scivolata via con un nulla di fatto: le scuderie non avevano raggiunto l'unanimità sul non correre, mentre F1, FIA e AGPC giocavano a rimpiattino per evitare di pagare le conseguenze della scelta. Verso il mattino, un incontro con l'autorità sanitaria locale aveva fornito due possibili soluzioni: o correre la gara a porte chiuse o annullarla completamente.
Senza una decisione, il venerdì mattina di Melbourne vedeva alcune scuderie provare i pit stop, giornalisti e tifosi arrivare ai cancelli del circuito. Nessuno sapeva cosa fare: Renault non si era diretta in pista, Mercedes e Ferrari avevano lasciato intendere che non avrebbero rinunciato alle FP1 se non fosse stato preso alcun provvedimento. In tutto quel marasma Sebastian Vettel e Kimi Raikkonen erano già su un aereo per andarsene.
Ad un certo punto arrivava la svolta: i campioni in carica della Mercedes, che sembravano intenzionati a continuare, avevano scritto una lettera sia a Liberty Media che alla FIA, chiedendo l'annullamento della gara per motivi di sicurezza. Vista la malparata che si profilava, il GP veniva annullato, ma non prima che migliaia di tifosi in possesso di biglietto si fossero radunati ai cancelli in un assembramento di massa che le autorità avevano voluto impedire.
Troppo poco, troppo lento, troppo tardi. In quell'universo dove la velocità e l'anticipo significano tutto, le persone nella stanza dei bottoni mettevano sul web la prima di tante grafiche uguali, tutte con lo stesso contenuto:
Il GP d'Australia del 2020 andava in archivio così, senza gara e senza gloria. La F1 ritornerà in pista e riaprirà i propri cancelli, ma non sarà più la stessa: quella gara di Melbourne diventerà, volenti o nolenti, uno spartiacque nella storia di questo sport.
Luca Colombo