Se il fato avesse avuto piani diversi, forse il sedile della Ferrari sarebbe stato probabilmente affidato a Jules Bianchi da qualche tempo. O invece magari no: purtroppo non lo sapremo  mai. Il destino ha voluto che invece fosse Charles Leclerc, amico d'infanzia e di esordio in pista, a cogliere l'ambito traguardo. Destini e campioni che si incrociano con la pista di Suzuka come sfondo, uno degli ultimi santuari del motorsport rimasti intatti; una pista vera, tecnica, veloce, difficile, amata e al tempo stesso rispettata. Una gara nella gara, perché il Giappone non è una tappa come le altre: un paese unico per storia, tecnologia, società, abitudini, regole ed etichetta. Ma sarà sempre Lewis Hamilton (fin troppo banale definirlo "samurai") ad arrivare con tutto da perdere; o forse tutto da vincere, visto il suo impeccabile ruolino personale delle ultime 6 gare: 5 vittorie che hanno del miracoloso se confrontate con il rendimento di inizio stagione balbettante per la W09.

Proprio il salto di qualità nelle prestazioni fa sorgere a molti dei dubbi: impossibile che Ferrari abbia sbagliato così grossolanamente l'ultimo step di sviluppo per il finale di stagione, sospetto il fatto che Mercedes sia tornata così dominante tanto in fretta, il tutto condito dalla Federazione, i sensori, gli alieni, le gare decise a tavolino per non perdere l'audience di fine stagione, ecc. Tante congetture, nessuna prova, innumerevoli valutazioni errate. Che Mercedes sappia interpretare la macchina alla perfezione durante la stagione è assodato già da molti anni, così come la Ferrari non eccelle (per lo meno ultimamente) nella strategia di sviluppo di lungo periodo pur con vetture altamente prestazionali. La Mercedes è stata e continua ad essere perfetta nel gioco di squadra e nelle strategie, mentre Ferrari ha spesso pasticciato al muretto e Vettel ha più volte sbagliato. Mercedes ha trasformato le proprie debolezze di inizio stagione (messa a punto e gestione gomme) in punti di forza; il contrario di quanto fatto da Ferrari, che ha trasformato invece in talloni d'Achille le sue caratteristiche migliori (potenza e trazione).

Questi sono i fatti e i numeri che alla mano permettono una valutazione delle sedici gare fin qui disputate; certo, l'alternanza di prestazioni e di dominanza è curiosa, ma nient'affatto eccezionale né improbabile, se confrontata con campionati ed annate precedenti. Quello che non cambia mai è la testarda e ricorrente miopia della media tifoseria italica, alimentata da alcune testate e tv poco inclini ad ammettere candidamente sconfitte e errori. Che ci sono sicuramente stati e finanche giustificabili, considerata la perdita di una guida forte come Marchionne al timone dell'azienda e la pressione cui da anni ormai è sottoposta una stella come Vettel che, dopo tante delusioni, può anche aver visto appannare la sua luce più fulgida. Niente di tutto questo è un segreto, nulla di tutto ciò è disonorevole. Dire che la squadra ha perso la grinta e la capacità di vincere che ha caratterizzato gli anni 2000 non farà piacere, ma sembra al momento un dato di fatto, soprattutto a confronto con un team impeccabile e preciso come la Mercedes ed il suo pilota di punta. Fatti e numeri che segnano una superiorità innegabile, ma che non possono fare a pugni con un'altra regola fondamentale dei numeri: ancora 125 sono i punti da assegnare, 5 le gare alla fine. E non è mai finita finché non è finita. Nemmeno nella terra del Sol Levante.

Stefano De Nicolo'