F1 | GP Giappone, quel motore che ha tradito Vettel come fu con Schumacher nel 2006
L'hanno definita luna nera a Singapore, e poi in Malesia. In Giappone la Ferrari era chiamata al riscatto per cercare di rimettere in piedi un discorso, quello del titolo piloti, che a Maranello manca da ormai 10 anni, quando Kimi Raikkonen si impose, all'ultima gara in Brasile, proprio su quello che ancora oggi è l'avversario numero uno della Rossa: quel Lewis Hamilton in formato "monstre", capace di vincere quattro delle ultime 5 gare.
Ma quella che sarebbe dovuta essere l'alba "Rossa" si è subito trasformata in un alba d'argento, illuminata da una stella a tre punte più brillante del sole, in quello che è il paese del Sol Levante. I primi problemi per la scuderia del Cavallino rampante si erano già manifestati durante la terza sessione di prove libere, quando un errore di guida ha costretto i meccanici di Kimi Raikkonen, aiutati anche dal team di Vettel, agli straordinari per poter rimandare in pista il finlandese con un nuovo cambio.
Qualifica in salita che però vede Vettel agguantare un ottima prima fila, sfruttando anche la penaltà di cinque posizioni inflitta a Valtteri Bottas sull'altra Mercedes. Secondo posto, dunque, che è il massimo risultato raggiungibile quando si corre contro un Lewis Hamilton come quello visto ieri mattina. L'ottimismo nel box della Rossa però era alto, la consapevolezza di avere un'ottima macchina per quanto riguardasse il passo gara era granitica: "Domani potremo dire la nostra e vincere., le parole che trapelavano dal box della Rossa.
Ma durante il giro di uscita dai box per schierarsi in griglia, Sebastian Vettel si rende subito conto che sulla sua SF70-H c'è qualcosa che non va. I meccanici smontano il cofano, i telemetristi collegano la Ferrari numero 5 ai tester, Seb corre in pit lane per non perdere la concentrazione. C'è un campanello d'allarme, non va ignorato ma il momento è critico, il mondiale è quasi compromesso, perciò la decisione è di prendersi il rischio e far partire la macchina ugualmente.
Il finale di questa storia è noto: dopo 4 giri Riccardo Adami richiama ai box il suo pilota per ritirare l'auto. Una candela ha posto la parola fine al mondiale 2017, i punti di vantaggio di Hamilton sono ora 59, un abisso incolmabile anche per il più accanito degli ottimisti.
Ciò che sicuramente nessun tifoso della Rossa può dimenticare è che sempre l'8 ottobre, sempre a Suzuka, durante un altro mondiale in bilico dalla prima all'ultima gara, la storia vista oggi si ripeté. L'altro tedesco della Ferrari, quel Michael Schumacher sette volte iridato era alla caccia del suo ottavo titolo mondiale e si presentò a Suzuka, penultimo appuntamento del calendario 2006, appaiato in testa alla classifica con Fernando Alonso.
Allora, a differenza di oggi, la prima fila era tutta Ferrari, con Felipe Massa in pole e Schumacher, come Vettel, secondo. Dopo una gara amministrata magistralmente, a 17 giri dalla fine, il Motore si Schumi cedette di colpo, come non accadeva dal Gran Premio di Francia del 2000. Vinse Alonso, portando a 10 punti il suo vantaggio sul tedesco in vista dell'ultimo appuntamento fissato in Brasile.
Le similitudini tra Schumacher e Vettel esistono e si sono viste anche oggi, quando Sebastian è stato il primo a rincuorare i suoi meccanici per lo straordinario lavoro fatto nel corso del week end, e di tutta la stagione. Lo stesso fece anche Michael, quando ormai sapeva di aver perso l'ultimo treno che avrebbe potuto portarlo per l'ottava volta al titolo mondiale. Così come oggi, il titolo non era ancora matematicamente perso, ma sarebbe servito un miracolo a Schumacher per scavalcare Alonso. Stesso discorso vale per Vettel, al quale solo un miracolo può riportare a Maranello un titolo che manca da 10 anni. Un titolo che mancò anche per più di vent'anni e che, beffardamente, il destino decise di far vincere a Schumacher, proprio a Suzuka, e proprio l'8 ottobre del 2000.
Alessandro Gazzoni