F1 | Flashback: in ricordo di Jim Clark a 50 anni dalla scomparsa
La scintilla per quella passione, che poi si sarebbe tramutata in vera e propria professione, denominata “mondo dei motori” scocca in Clark da giovane. Infatti fin da tenera età, all’oscuro della famiglia, l’inglese partecipa a varie gare conoscendo e affrontando quello che sarebbe diventato il suo “boss” in Lotus: Cholin Chapman.
Proprio Chapman, estasiato dalla classe cristallina di Clark, dopo averlo testato e svezzato in gare di durata, dove colse diverse vittorie, decide di lanciarlo in Formula Uno. Non a caso il britannico, nella sua carriera nel mondo del Circus, lega il proprio nome solamente alla Lotus. Il debutto con il team inglese avviene nel 1960 sulla pista olandese di Zandvoort, dove però è costretto al ritiro per problemi alla trasmissione. Dopo aver ottenuto alcuni piazzamenti a podio, nel 1962 coglie la prima affermazione in carriera, imponendosi il 17 giugno sulla vecchia pista (lunga ben 14 km) di Spa.
Clark termina la stagione con altri due trionfi, che gli permettono di chiudere il campionato al secondo posto alle spalle del campione del mondo Graham Hill.
L’anno della definitiva consacrazione è il 1963, dove il britannico conquista il primo (dei due) titoli iridati. Una stagione da incorniciare, dove a bordo della mitica, storica e rivoluzionaria Lotus 25 riesce sette vittorie (in dieci appuntamenti) conquistando l’iride con tre gare d’anticipo sulla fine detta stagione, permettendo anche alla Lotus di ottenere la prima corona iridata nei costruttori della propria storia.
Archiviato al terzo posto il campionato 1964, Clark torna a dettar legge in pista nel 1965 dove si laurea nuovamente campione del mondo, con tre mesi di anticipo sulla fina del mondiale, conquistando anche la storica vittoria nella 500 Miglia di Indianapolis a bordo della Lotus 38.
Complici alcuni cambi regolamenti a partire dal 1966, come il passaggio a motori da 3000 cc, Clark ebbe non poche difficoltà nel far rendere al meglio le Lotus che aveva tra le mani. Malgrado i deficit tecnici riscontrati, dovuti anche al cambiamento di continue monoposto e motori, il britannico supportato dal suo enorme talento è protagonista di un’incredibile rimonta nell’edizione del Gran Premio d’Italia 1967. Sulla pista di Monza infatti solo un calo alla pressione dell’olio, aggiuntosi alla precedente foratura di una gomma, non gli permette di suggellare una stupenda cavalcata dalle retrovie con una (meritata) vittoria, dovendosi invece accontentare “solo” del podio.
Il 1968 sembra l’anno buono per tornare a (ri)scrivere il proprio nome nell’albo d’oro. La stagione parte appunto sotto i migliori auspici, grazie al trionfo colto sulla pista di Kyalami. Ma il destino ha purtroppo in serbo per Clark un’amara sorpresa. Infatti approfittando della lunga sosta, oltre quattro mesi, intercorsa tra il GP del Sudafrica e il GP di Spagna il britannico decide di partecipare alla gara di Formula 2 in programma il 7 aprile ad Hockenheim, declinando la possibilità di scendere in pista nella più prestigiosa 500 Miglia di Brands Hatch.
Le cause del terribile incidente, verificatosi all’altezza della curva denominata Coda di gambero, che causano la morte di Clark (a cui poi verrà dedicato quel tratto di pista), che con la propria monoposto compie diversi voli prima di terminare la sua folle corsa tra gli alberi, non sono mai state del tutto accertate (l’ipotesi più accreditata resta quella di un cedimento meccanico, in particolare di una foratura lenta).
Ad appena 32 anni si chiude drasticamente la vita e la carriera di uno dei piloti dotati di maggior classe (ad oggi nessun pilota è riuscito a eguagliare il suo record di Grand Chelem, ben 8), che avrebbe potuto scrivere altre importanti pagine di storia del motorsport.
Piero Ladisa