Una corsa in Paradiso
Nel Principato di Monaco non c’è il classico profumo presente nell’aria quasi ogni giorno. Quello degli eleganti fiorai sparsi nelle viuzze tra una scalinata e l’altra, oppure dello Chanel numero 5 emanato da qualche ricca signora in transito verso il Casino o semplicemente intenta a tenere al guinzaglio i due cagnolini bianchi. Il mare ondeggia quieto, con lo stesso movimento ripetitivo, di tanto in tanto animato dal passaggio di qualche lussuosa imbarcazione ormeggiata nel porto. Eppure, si avverte un olezzo strano, che ti prende alla gola, acre, che almeno un week-end all’anno è divenuto una consuetudine per chi vive da queste parti. Benzina, motori, pistoni, olio. E ancora: gomme, volanti, alettoni, abitacoli.
Il grande Circus è pronto per entrare in scena, per la propria esibizione primaverile, per quella che più che ad una parata assomiglia ad una sfida infernale. Cordoli e guard-rail, segni di frenate sull’asfalto, e poi quel Tunnel, lungo, buio, velocissimo. Sul palco presidenziale, il principe Ranieri e la moglie Grace osservano tutto dall’alto, stringendo tante mani, ricevendo visite da ospiti esclusivi, in attesa di gustarsi lo spettacolo nel proprio “giardino” di casa. Il sole riscalda le strade trasformate in pista, anche se minacciose nuvole fanno capolino sulle colline che sormontano questo angolo di Paradiso. Sul nastro d’asfalto, i campioni sono pronti per domare le proprie belve. E devono farlo con astuzia, saggezza, senza mai esagerare, pena un contatto contro un muro, che vanificherebbe ogni sforzo. Concentrazione ai massimi livelli, impegno mentale e fisico, per sentirsi un tutt’uno con la propria monoposto, per poterla governare e non farsi governare, pena il patatrac irrimediabile, la fine dei sogni. Avvolti dalle proprie tute, chiusi nei propri stretti abitacoli, nascosti da un casco che ne cela sensazioni, emozioni e, perché no, paure. Anche se, al momento di abbassare la visiera, tutto deve essere di colpo cancellato, dimenticato, o quanto meno accantonato in un angolo della propria mente, in maniera tale che non possa prendere il sopravvento. Mai. Si guardano in cagnesco, da una vettura all’altra, magari stemperando la tensione con un mezzo saluto, un gesto cavalleresco, ben consapevoli che di lì a poco non ci sarebbe stato spazio per i sentimenti, per i deboli, per i perdenti. Davanti a loro, un circuito che non perdona, ricco di insidie e trabocchetti ad ogni curva: roba per uomini forti, mica per dilettanti allo sbaraglio.
Ayrton lo sa bene quanto significhi questo giorno. Consapevole di non poter sbagliare ancora, dopo l’errore al Portier che ne aveva compromesso già in passato una gara che sembrava già vinta. Non poteva fallire, dopo aver realizzato una pole position da antologia, sfiorando tutto ciò che era sfiorabile, pur senza mai colpirlo, cogliendo così in pieno la differenza tra un giro perfetto ed un disastro totale. Eppure, guai a poter dormire sonni tranquilli: al suo fianco, in griglia, c’è quello scozzese volante dotato di una velocità innata, specialmente sul giro secco, capace di oltrepassare i limiti della vettura come solo lui sapeva fare. Jim non ha alcuna intenzione di lasciare scappare al via il brasiliano, pur consapevole che la corsa sarebbe stata molto lunga, e difficile. Due cannibali, insomma, disposti a non lasciare spazio alle soddisfazioni altrui, anche se in quella griglia tutti sembrano pensarla allo stesso modo. Convinti, nel proprio intimo, di essere indiscutibilmente i migliori, i più veloci, i più abili, gli unici in grado di poter uscire fuori indenni da quella giostra infernale, la cui roulette avrebbe alla fine estratto il proprio numero. C’è Francois, l’idolo locale, il perfetto uomo da copertina, capace di ammaliare le ragazze di tutto il mondo grazie al suo fascino ed allo sguardo magnetico. Poco più in là arriva Graham, perfetto nel suo stile inglese, dal baffo inconfondibile che gli donava classe ed eleganza. Juan Manuel, l’argentino pigliatutto, era un altro che non perdonava nulla: sapeva esattamente ciò che voleva, ed alla fine riusciva sempre ad ottenerlo. E poi c’è quel canadese un po’ scavezzacollo, un certo Gilles, uno che in Formula 1 ci era arrivato a suon di vittorie nelle motoslitte: certo, qualcosa di ben diverso dal presente, eppure lui aveva dimostrato di saperci fare, con quell’aria sempre un po’ da ragazzino indolente. James, dal canto suo, aveva fatto quasi l’alba dopo una notte di baldorie in compagnie di qualche amica, incapace di risparmiarsi nemmeno prima di un appuntamento così importante, comunque sicuro del fatto che, una volta abbassata la bandiera, il suo prossimo pensiero sarebbe stato quello di una bottiglia di champagne, ma da assaporare sul podio. E poi ci sono anche i ragazzi italiani, per i quali questa rappresenta una sorta di seconda gara casalinga: c’è Michele, riccioluto e determinato come non mai; Alberto, deciso a dimostrare di essere ancora lui il numero uno, ed Elio, voglioso di dimostrare anche davanti ai reali monegaschi il proprio talento in pista ed al pianoforte, ma quest’ultimo da esibire solo nel party riservato al vincitore del dopo-gara.
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