Riflessioni post-asiatiche tra Twitter e asfalto...
Guardando a ritroso sugli episodi della gara di Abu Dhabi che hanno fatto maggiormente discutere, appare singolare come al primo posto non appaia l'ennesima vittoria di Sebastian Vettel o la doppietta realizzata dagli uomini della "lattina più veloce al mondo". Mai come in questa circostanza, infatti, a far parlare di sè non sono state le vetture o i piloti, bensì le...strisce bianche. Già, proprio quello strumento indispensabile al fine di delimitare la pista, in base al quale disegnare traiettorie, studiare punti di frenata e prendere l'esatto punto di corda. Peccato che nella Formula 1 moderna, queste strisce siano diventate sempre più spesso "immaginarie". Oltrepassate senza pietà, bistrattate come elemento superfluo, ignorate quasi da poter arbitrariamente stabilire quale sia il nuovo confine, giro dopo giro. E il tutto, attenzione, non perchè i piloti siano improvvisamente diventati dei fenomeni capaci di inventarsi traiettorie impossibili. I veri colpevoli sono i circuiti moderni. Le vie di fuga in asfalto, introdotte negli ultimi anni, sono spesso e volentieri diventate vere e proprie oasi dove una vettura può viaggiare senza alcun danno, capaci di perdonare qualsiasi errore del pilota o qualsiasi manovra al limite. E' vero, la sicurezza viene prima di tutto, e sicuramente una via di fuga con l'asfalto al posto della ghiaia garantisce un maggior potere frenante, senza contare i rischi legati al ribaltamento che la ghiaia ha spesso evidenziato in passato. Eppure, con ampie e rassicuranti zone di fuga ai lati della pista, chiunque può permettersi di fare il fenomeno, sapendo di avere un margine di errore che in ogni caso non gli arrecherà alcun tipo di danno. E la Federazione, quali misure ha adottato? Sanzioni, sanzioni, sanzioni. Ad Abu Dhabi si è sfiorato il ridicolo, con la scure che pendeva sul capo dei piloti sorpresi ad oltrepassare anche di un solo centimetro la famosa striscia con tutte e quattro le ruote. Una minaccia, fortunatamente, non concretizzatasi poi appieno, nonostante il giro veloce di Webber in qualifica sia rimasto a lungo sotto osservazione. Tutto questo non fa altro che rendere la Formula 1 moderna più prevedibile, schematizzata, imbrigliata in regole spesso cervellotiche che non giovano nè allo spettacolo nè a valorizzare il talento dei piloti. Sono lontani i tempi in cui si vedeva grazie a certi particolari chi era il più bravo a portare la vettura al limite, ad osare un pizzico in più degli altri, ben sapendo che un'escursione fuori pista avrebbe potuto significare la fine anticipata della gara. Circuiti e piloti lontani dai cosiddetti "tilkodromi", dagli "under investigation" e dai "drive-through" che caratterizzano l'era attuale. Pensate cosa ci saremmo persi, in passato, se queste regole fossero state applicate in momenti che hanno fatto la storia delle corse: oggi non sarebbe più possibile rivedere un duello stile Villeneuve-Arnoux a Digione, ma nemmeno un sorpasso stile-Zanardi al Cavatappi di Laguna Seca. Ebbene, l'appello è chiaro: ridateci i circuiti di una volta, ridateci l'erba e la ghiaia ai lati della pista, confinate l'asfalto alla sola pista. Non ci vuole poi molto, anche perchè i pochi tracciati storici della Formula 1 hanno saputo perlopiù mantenere questa caratteristica: Monza, Spa, Suzuka e anche Silverstone. Tracciati dove lo spettacolo non manca, dove prima di mettere due ruote sull'erba a 300 orari uno ci pensa due volte, dove vince solo chi ha talento e coraggio. Esattamente quelle doti che ha messo in mostra domenica Fernando Alonso, sorpassando all'esterno (ecco che ritornano le strisce bianche...) Vergne in un curvone da oltre 200 orari, incurante dei cordoli che ne hanno fatto sobbalzare la vettura e indolenzito la schiena. E menomale che la Ferrari, alle attente moviole post-gara, è risultata per pochi centimetri in linea con l'asse posteriore della Toro Rosso all'uscita della corsia box, altrimenti sarebbe scattato inevitabile un provvedimento punitivo. Chi non l'ha presa bene, in tutta questa faccenda, è stata proprio la schiena dello spagnolo, il quale si è sottoposto ad approfonditi esami in ospedale nel dopo-gara. Peccato che anche qui sia emersa un'altra caratteristica dei piloti moderni, e non solo: quella di voler documentare proprio tutto sui social network, consci di essere oggetto di attenzioni e chiacchere come mai si era verificato in passato. Ma, a volte, si rischia di esagerare. Che senso ha avuto, difatti, pubblicare su Twitter quella foto di Alonso steso su una barella, quasi fosse stato vittima di un incidente ben più grave? Forse lo si dovrebbe chiedere a Luis Garcia, autore dello scatto e manager del pilota, il quale era senz'altro soggetto consapevole, consenziente e, magari, ammiccante. Ma la risposta temiamo già di conoscerla. Perchè il cattivo gusto rappresenta un confine molto personale. Proprio come le strisce bianche...
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