Indycar | Long Beach, un mito all’ombra della Queen Mary
Una pietra miliare del motorsport a stelle e strisce incastonata nei vialoni che costeggiano il Pacifico a sud di Los Angeles, ecco cos’è Long Beach. Un tracciato storico che continua ad emozionare ogni volta che le monoposto Indycar vi sfrecciano. Proprio nelle ore in cui la F.1 annuncia un nuovo appuntamento negli USA a Las Vegas in quello che molto probabilmente sarà un altro simil-tilkodromo costruito per compiacere il dio denaro, pare giusto rendere omaggio ad una pista ricca di storia e fascino.
Dal degrado alla F.1 in dieci anni
Long Beach è una vera e propria città costiera che fa parte ormai dal secondo dopoguerra dell’agglomerato urbano di Los Angeles. Nonostante la presenza di un porto militare, che la rendeva comunque una zona agiata, negli anni ’60 nella porzione a sud regnavano degrado e scarse condizioni abitative. Fu proprio questo a dare la spinta all’amministrazione cittadina per cercare di riqualificare la zona.
Nel 1967 il primo salto di qualità: all’interno del porto viene trainata la Queen Mary, un ex transatlantico adibito ora ad albergo di lusso. Ma è nel ’74 che il governo californiano decide di stanziare fondi importanti, che attirano l’attenzione di Chris Pook, businessman inglese. Quando questi dichiara di voler far correre le monoposto nei viali proprio adiacenti la Queen Mary, sono in tanti a credere che sia totalmente pazzo. Ma, grazie all’aiuto di Dan Gurney, pilota e vero race enthusiast, già l’anno successivo ecco che la F.5000 fa la sua comparsa sulla scena.
Nel 1976, il salto di qualità: arriva la Formula 1, proprio nell’anno del duello Lauda-Hunt, quello magnificamente descritto in Rush. Certo, quella prima edizione passa più alla storia per i risvolti più glamour, con l’ormai ex moglie dell’inglese Susy che si presenta in pista con il nuovo amore Richard Burton, ma ormai il dado è tratto.
Clay, dal trionfo al dramma
La lunghezza iniziale della pista era di 3.251 metri, ricchi di curve insidiose e bump che rendevano la guida difficile. In queste condizioni, si sa, i piloti migliori dell’epoca si esaltavano, e il primo a cogliere il successo a Long Beach fu Clay Regazzoni. Il ticinese della Ferrari approfittò anche di una collisione tra Depailler e Hunt, con l’inglese a muro dopo un contatto con il francese.
Non si dovrà attendere molto per sentire risuonare The Star Spangled Banner; già nel ’77, infatti, Mario Andretti conquistò la vittoria dopo una dura lotta con Lauda (poi trionfatore nel Mondiale, con tanto di addio anticipato alla Ferrari) e l’allora astro nascente Jody Scheckter. Nei due anni successivi fu la stella di Gilles Villeneuve a splendere, con tanto di vittoria nel 1979, sempre con la monoposto del Cavallino.
In poco tempo la pista divenne un vero classico per il Circus, anche con le modifiche che la allungarono e resero ancora più impegnativa. Ma, si sa, il Dio delle corse spesso si diverte a giocare col destino, e per quanto riguarda Long Beach, si divertì a prendere di mira proprio il suo primo trionfatore.
Nel 1980 Clay Regazzoni era passato alla Ensign, scuderia diretta da Morris Nunn, geniale ingegnere inglese che negli anni ’90 sarà tra gli artefici dei successi di Zanardi negli USA. Dopo un periodo iniziale difficile, il pilota di Lugano stava cominciando a prendere le misure della sua vettura. Ma sullo Shoreline Drive, a 280 km/h, un problema ai freni gli fece perdere totalmente il controllo, andando poi a sbattere contro la Brabham di Zunino, già ferma in via di fuga.
L’impatto con la macchina ferma e le vie di fuga fu tremendo, e costò a Clay una paralisi e la conseguente fine della carriera da pilota nella massima serie. Nel frattempo, il tracciato subì diverse modifiche che non ne snaturarono l’essenza, con il via spostato sul Drive, dove è tutt’ora. Nonostante ciò, il mancato accordo tra Pook e Ecclestone sulle royalties mise fine alla storia tra Long Beach e la F.1 a partire dal 1983.
Il paradiso delle gare made in U.S.A.
Per molte altre piste, l’addio del Circus ha rappresentato il canto del cigno per ovvi motivi. Non per Long Beach; tanti investimenti fatti, un tracciato unico, la Queen Mary sullo sfondo non potevano svanire dal mondo delle corse. E allora, dal 1984 ad oggi, sono state le categorie americane a rombare tra Shoreline Drive e Ocean Boulevard, con le tante deviazioni tra l’acquario e gli eleganti grattacieli di una zona sempre più simile a downtown Los Angeles.
Da allora ad oggi, sono tante le gare memorabili svolte sull’Oceano. Ce n’è una, però, che è giusto e doveroso ricordare, ed è quella del 1998, che vide come protagonista il nostro Alex Zanardi. Già l’anno precedente il bolognese aveva sbancato, ma la gara in questione fu resa indimenticabile da una rimonta incredibile dalla 18° posizione, culminata con i duelli finali con Michael Andretti e il rivale di sempre, Bryan Herta. E siccome la vita a volte fa giri incredibili, è bello ricordare come l’ingegnere del team Ganassi (squadra per cui guidava Alex), fosse quel Morris Nunn che nel 1980 vide la propria macchina schiantata contro le barriere e il proprio pilota perdere l’uso delle gambe.
Tra due weekend, vedremo le Dallara Indycar tornare a calcare l’asfalto della California, che lo scorso anno ha incoronato Alex Palou campione della categoria. Lunga vita a Long Beach, dunque, monumento alle corse vere, quelle dove il coraggio e la qualità del pilota la fanno ancora da padrone!
Nicola Saglia