F1 | Viva Las Vegas?
Chissà cosa avrebbe detto Elvis Presley, se fosse ancora tra noi, in merito allo sbarco della F1 a Las Vegas. Il Re del Rock avrebbe perdonato, per esempio, il vilipendio di uno dei suoi outfit, finito pacchianamente sulle tutine da gara dei piloti Red Bull? Attingendo ad uno dei titoli più famosi della produzione di Elvis e declinandolo come "In the flesh" dei Pink Floyd, vogliamo fare il punto della situazione su quello che portiamo a casa da questo GP che i piani alti della F1 desideravano da tempo, ora che la prima gara ha avuto luogo.
La gara
Nonostante le perplessità prima del via, il GP ha decisamente soddisfatto chi desiderava un duello ai piani alti della classifica dai semafori rossi fino alla bandiera a scacchi. Quanto ha influito sulle dinamiche di gara il fatto che il GP avesse un valore sportivo relativamente blando? Quanto ha influito sui risultati la limitata conoscenza pregressa del tracciato, ulteriormente confinata da un programma di prove tagliato dopo i problemi in FP1? Non lo sappiamo e non possiamo saperlo, tuttavia dobbiamo prendere atto che il tracciato (per quanto non presenti tratti memorabili) ha provato di poter ospitare sorpassi e duelli.
Il tracciato sulla Strip, come buona parte degli impianti recentemente introdotti in calendario, è un circuito cittadino ad altissima velocità. Questa tipologia di tracciato risponde alle esigenze di spettacolarità applicate alle vetture attuali, larghe e pesanti, ma, di contro, rappresenta uno schiaffo sonoro alle questioni di sicurezza che comportano l'introduzione, ad esempio, delle vie di fuga in asfalto in altre location. A Las Vegas nessuno si è fatto male, tuttavia sulla base dell'incidente che ha mandato all'ospedale Lando Norris varrebbe la pena fermarsi a fare una riflessione.
Il problema con la valvola dell'acqua
Il fine settimana di gara non aveva debuttato "alla grande". L'incidente che ha visto protagonisti i tombini, Ocon e Sainz ha evidenziato in maniera brutale come l'organizzazione di un GP comporti un altissimo livello di complicazione. Soprattutto se disputato su tracciati cittadini e con un livello di aspettativa alle stelle. La questione della chiusura dei tombini rappresenta un tema comune per gli street-circuit, ma la gestione della situazione generatasi il venerdì ha lasciato fin troppo a desiderare.
"Quello che succede a Las Vegas rimane a Las Vegas" cita uno degli slogan attribuiti alla Sin City nel Nevada, ma il comunicato congiunto emesso dagli organizzatori e dalla F1 rientra in un tipo di comunicazione passivo-aggressivo, totalmente auto-referenziale. Non avevamo mai visto niente di simile nel Circus, nemmeno ai tempi di Bernie Ecclestone. Anche l'applicazione rigida del Regolamento, con le dieci posizioni di penalità conferite a Carlos Sainz, finisce dritta nel bidone delle brutte figure, dato che la Direzione Gara non ha dimostrato buon senso o flessibilità (nonostante spesso le decisioni della Race Control si muovano sui binari dell'interpretazione regolamentare).
I promoter dell'evento avranno i loro grattacapi. I tifosi del venerdì, malamente liquidati, potrebbero intentare un'azione legale. Ferrari potrebbe presentare i conti del meccanico da pagare. L'azzardo di mostrare i muscoli, quando non ne vale la pena, pagherà nella capitale del gioco d'azzardo?
Una valanga di soldi
Per rimanere nell'analogia con il gambling, il Circus ha puntato forte sulla gara di Las Vegas. La F1 voleva tornare in Nevada sin dalla gestione di Bernie Ecclestone, dopo il totale fallimento delle gare corse all'inizio degli Anni Ottanta, di cui ricordiamo il GP memorabilmente disputato nel parcheggio del Caesars Palace. Sotto la gestione Liberty Media, il Circus ha aperto un nuovo mercato negli Stati Uniti e la gara nella Sin City rappresenta la ciliegina sulla torta che suggella questa infatuazione.
La F1 ha acquistato un terreno di sedici ettari appena fuori dalla Strip dove ha costruito il paddock, che servirà come base per le sue operazioni negli USA per tutto l'anno. Secondo quanto dichiarato fino ad oggi, probabilmente la spesa finale (in questo sostenuta dalla F1, perché di solito gli oneri vanno in carico agli organizzatori) avrà la faccia del mezzo miliardo di dollari, ma secondo Liberty Media abbiamo a che fare con un investimento sicuro per il futuro. Un futuro che per dieci anni vedrà Las Vegas in calendario, con buona pace dei residenti che lamentano un aumento dei problemi in città e con buona pace dei tifosi e degli spettatori che dovranno vedere biglietti dai prezzi esageratamente alti.
Fu vera gloria?
Tutto sommato, buttandola sul personale, il GP di Las Vegas mi ha lasciato abbastanza indifferente rispetto all'aspettativa costruita e ha alimentato alcune perplessità.
Nella doppia veste di chi scrive e chi segue (da anni) la F1, non riesco a comprendere dove si collochi un GP che genera più contenuti relativi agli ospiti VIP che scorrazzano per il Paddock Club rispetto a quanto succede in pista. Abbiamo visto attori, attrici ed altri saltimbanco fare la passerella ai box, ma abbiamo visto un numero limitato di novità tecniche. Non bastava la gara di Montecarlo e quella di Miami (per la quale Las Vegas costituisce un doppione)?
Ed è per questo che da qualche tempo continuo a pormi la stessa domanda: questa F1 cosa vuole vendere e a chi è indirizzata? Andrà a finire che ci sentiremo come Sergio Perez sulla griglia di partenza in Nevada; introdotto dall'immancabile "strillone" americano, il messicano sfoggia la stessa espressione di chi, fermo immobile in mezzo al caos, pensa: "Ma io che ci faccio qui?"
Luca Colombo