Smarrito tra le aspettative sul settimo titolo Piloti per Lewis Hamilton e perso tra i commenti relativi al tracciato scivolosissimo, è quasi passato in sordina il traguardo raggiunto dalla Red Bull in Turchia: 300 GP in Formula 1.

I numeri di questi 300 GP

Red Bull, intesa come azienda che produce energy drink, fa il suo ingresso in Formula 1 nel 1995, sulla carrozzeria della Sauber. Il debutto come scuderia avviene nel 2005, subentrando nella proprietà della Jaguar Racing (una volta Stewart Racing). Secondo le cronache dell'epoca, il passaggio tra le due entità si formalizzò nel settembre 2004 per la cifra simbolica di un dollaro.

Nei suoi primi 300 Gran Premi, la scuderia di Milton Keynes ha raccolto 63 vittorie, 62 pole position e 4 Titoli Costruttori. Possiamo parlare di risultati veramente eccezionali, perché raccolti nel difficilissimo contesto di essere una parte terza (rispetto alle Case che scendono in pista con la loro scuderia) nell'esosa F1 degli Anni Duemila. Statistiche alla mano, c'è chi ha fatto meglio sulla stessa distanza: la Williams, per esempio.

"Gives you wings"

Il parallelo alla Williams degli Anni '80 - Anni '90 funziona? Non del tutto. L'epopea della Red Bull può essere affine a quella della Benetton, perché anche il business core dei veneti non era nelle automobili, ma nell'abbigliamento. Del resto il soprannome "bibitari" (forse scherzoso, forse dispregiativo) nasce proprio dalla constatazione per cui il prodotto principale degli austriaci fosse una bevanda.

Altro tratto comune con la Benetton (e le somiglianze finiscono qui) è un approccio apparentemente non convenzionale alla Formula 1. Nei primi anni la declinazione del motto "Gives you wings" vede la presenza in uno sport al limite (la Formula 1, per l'appunto) e un contorno adeguato all'identità del marchio.

Pane al pane

Come dimenticare, di quell'epoca ruspante, l'Energy Station (la monumentale hospitality dalla quale uscivano a mandata continua modelle da lasciare la mascella per terra e musica a tutto volume) e l'irriverente giornalino, il Red Bulletin, distribuito ai GP come se fosse una fanzine?

Tutto questo modus operandi nel linguaggio tecnico viene riassunto da un sostantivo: "cazzeggio". All'epoca le aspettative sulla scuderia puntavano piuttosto in basso, forse qualche podio, e l'ingresso in organico di Newey (nel 2006) sembrò un'indefinibile manovra commerciale.

Quindici stagioni e trecento Gran Premi dopo, la Red Bull costituisce uno dei nomi più forti in griglia e la Red Bull Advanced Technologies rappresenta uno dei nomi più interessanti relativi all'engineering e l'applicazione di tecnologie innovative. Il "cazzeggio" si è tramutato nell'essere talmente sul pezzo da scrivere la storia di scelte tecniche border-line, bacchettare più volte il proprio fornitore principale e costruire una partnership vincente con l'ultimo player motoristico entrato nella F1 turbo-ibrida, Honda.

Presente e futuro

Con tutta probabilità la Red Bull ha scalato le classifiche facendo della radicalità la propria matrice. Nel bene e nel male: ad esempio con il programma giovani e Toro Rosso / Alpha Tauri ha elevato il concetto di junior team ad una potenza più elevata, ma contemporaneamente ha instradato su binari morti le carriere di molti piloti.

Essere radicale sempre, anche nei comportamenti e nelle dichiarazioni, comporta scarsa simpatia. L'improvvisa uscita di scena della Honda ha lasciato la Red Bull con molta terra bruciata attorno. Cosa sarà del dopo 2021? Come sempre lo scopriremo solo vivendo e forse da Milton Keynes sapranno stupirci ancora una volta. In fondo i bibitari si sono guadagnati la Formula 1 e ora il Circus non può permettersi di perdere una realtà del genere.

Luca Colombo