Yellow Flag Talks | Il grande pericolo delle vibrazioni
Il collasso dell'ala anteriore della vettura di Vettel nel Gran Premio del Bahrain 2019 ha portato l´attenzione sui pericoli connessi alle vibrazioni. Il cedimento strutturale è stato attribuito infatti agli scuotimenti impartiti all'intera vettura dallo spiattellamento delle gomme, in seguito al testacoda avuto poco prima nel duello con Hamilton. Accadimenti del genere non sono rari in Formula 1: basti ricordare la distruzione della sospensione della McLaren di Raikkonen nel 2005 nel GP di Europa al Nurburgring, tanto per citare un episodio. I problemi di questo genere possono essere in generale fatti rientrare nella classe dei cedimenti per fatica dei materiali, intendendosi per “fatica” quel fenomeno per il quale una parte realizzata in un dato materiale e soggetta a un carico variabile nel tempo può cedere dopo un definito numero di cicli di utilizzo, anche con carichi di molto inferiori al limite determinato sperimentalmente per quello specifico componente.
Un po’ di storia del fenomeno
Storicamente i primi studi sulla fatica dei materiali datano la fine del 1800, quando l'ingegner Augustus Wohler fu incaricato di svolgere delle indagini sul deragliamento di una locomotiva per la rottura di un assale, e intuì così la relazione tra il cedimento e il numero di cicli sostenuti dall´assale a flessione rotante: il carico costituito dal peso e dall’inerzia su una porzione del materiale non era costante, ma aveva un andamento variabile nel tempo, a causa proprio della rotazione dell’assale. Gli studi sulla fatica dei materiali si sono fatti via via più approfonditi nel tempo, così come quelli sulle vibrazioni e i fenomeni di risonanza, con risultati eclatanti che talvolta sono sfociati nella leggenda: il caso più noto è quello di Nikola Tesla e del suo “Oscillatore”, un dispositivo a vapore capace di creare determinati periodi di vibrazione; in una sua variante, Tesla sperimentò gli effetti di risonanza su edifici e vaste strutture metalliche, arrivando ad affermare che in un’ora sarebbe stato capace di far crollare il ponte di Brooklyn, o l’Empire State Building con 5 libbre di pressione d’aria. Nonostante il dibattito sia rimasto aperto a lungo sull’effettiva veridicità di questo fenomeno, e la celebre trasmissione televisiva “Mythbusters” lo sperimentò nel 2006 con risultati tutt’altro che eclatanti, rimane comunque un esempio necessario per far comprendere la devastante portata dei fenomeni oscillatori.
Negli ultimi anni, grazie alla capacità di elaborazione dei moderni processori, sono nati modelli sempre più sofisticati che consentono di trattare il cedimento in relazione al tipo di sollecitazione (va ricordato che, ad esempio, la torsione è più pericolosa della flessione), alla storia di carico (si può verificare che i carichi ciclici agiscono per ampiezze e durate diverse, eventualmente anche simultaneamente per un certo intervallo) e ad altri fattori, come variazioni di sezione delle parti coinvolte, temperatura, finitura superficiale etc... Quando si pensava di conoscere tutto della fatica, hanno fatto la loro comparsa sulla scena i materiali compositi, che per la loro stessa natura hanno varie modalità di cedimento (delaminazione dell´interfaccia fibre-matrice, rottura della matrice, rottura delle fibre) descritte da modelli matematici più complicati ed inizialmente meno attendibili di quelli disponibili per i metalli. Inizialmente, dato il basso peso del composito, si risolveva il problema rinforzando le zone di probabile cedimento; ora sono disponibili anche per il composito modelli più precisi per determinare la vita utile delle parti soggette a sollecitazioni variabili nel tempo.
La spiegazione aerodinamica
Le vibrazioni possono avere varie origini, le più ovvie delle quali sono i difetti di equilibratura degli pneumatici e squilibri di vario genere nel comparto propulsivo. Tra i possibili motivi di vibrazioni per una vettura da gara va però annoverata anche l’origine aerodinamica. Tale causa origina due grandi sottocategorie: - Cause aerodinamiche: sono quelle in cui la risposta della struttura sollecitata non influisce sul campo aerodinamico; in altre parole, se a seguito delle azioni aerodinamiche la deformazione del telaio o della carrozzeria non è tale da modificare sostanzialmente il campo di moto e le condizioni di interazione tra fluido (aria) e struttura (vettura), e quest’ultima si possa semplificare come un corpo rigido. - Cause aeroelastiche: quelle in cui la modificazione della forma/orientamento della struttura determina una variazione delle forze scambiate tra il campo aerodinamico e la struttura stessa. Diviene facile immaginare come queste ultime rappresentino una possibilità tutt´altro che infrequente per una vettura da gara con una veste aerodinamica spinta: infatti il corpo vettura dove sono situati i dispositivi aerodinamici è montato su una sospensione elastica che sotto carico si modifica nella sua altezza da terra e nel suo orientamento spaziale, il che si riflette sull’entità delle forze aerodinamiche scambiate. Di seguito un esempio di sicuro interesse per chi vuole approfondire l’argomento e al contempo capire come funzionano i test in pista e le dinamiche di risoluzione delle problematiche che devono affrontare tecnici e ingegneri.
Il caso reale
La vettura protagonista di questo esempio è la Ligier JS53 Evo2 in configurazione CN mostrata nella foto, usata nelle competizioni endurance aperte alla sua classe. Ha debuttato a Misano nella gara endurance della serie italiana “3H Endurance Champions Cup”. Nelle prime prove libere svolte sul bagnato si sono registrate delle vibrazioni intensissime, i cui effetti consistevano nello strappamento dell´accelerometro dell´acquisizione dati (il cui segnale disturbato si può notare nella figura)
nonché del fermo della guaina del cavo dell´acceleratore, che impediva l´apertura corretta della farfalla con il pedale a fondo corsa: il tutto con pesanti effetti sulla prestazione, come si evince dai picchi sempre più bassi nel grafico allegato.
Sono stati effettuati diversi tentativi per cercare di limitare il fenomeno: tra gli altri, la variazione delle regolazioni degli ammortizzatori, delle molle e delle altezze statiche da terra. Quest´ultima soluzione non limitava il fenomeno ma lo riduceva al settore più veloce della pista, inducendo il sospetto che l’altezza da terra potesse avere una parte nella problematica, portando a escludere il propulsore tra le possibili cause. In una sessione di test successiva si è registrato il cedimento di una delle staffe di supporto dello splitter anteriore, in lega di alluminio, mostrato in figura: le frecce in rosso indicano il cedimento all´altezza di uno dei fori di fissaggio, nonché la frattura prodottasi in prossimità di un altro foro. La foto di dettaglio invece prova inequivocabilmente le caratteristiche di uno schianto per fatica, dove l’ombra più scura è relativa alla fase di “incubazione” e propagazione della cricca, mentre quella più chiara e uniforme è l´area di cedimento statico sopravvenuta quando la sezione resistente residua non è stata più in grado di sopportare il carico, collassando seccamente. Resta da stabilire la causa di tale rottura per fatica. L´acquisizione dati viene in soccorso, mostrando qualcosa di interessante: alleghiamo in fondo all’articolo il confronto tra le letture degli estensimetri (i sensori che misurano l’escursione delle sospensioni) in una curva a bassa velocità (curva del Tramonto, 70 km/h) e alla fine del tratto veloce (205 km/h circa). È evidente nel tratto veloce una pulsazione della sospensione anteriore di ampiezza pari a 7 mm circa, che fa propendere per una spiegazione aeroelastica: la combinazione di coefficienti aerodinamici, altezze statiche, rigidezza delle molle anteriori e velocità fa sì che lo schiacciamento aerodinamico porti la vettura all´interno di quello che può essere definito in gergo tecnico un “bacino di attrazione” per il suo punto di equilibrio di funzionamento. In altri termini la vettura si abbassa a causa del carico aerodinamico ad un valore critico sotto il quale si ha una repentina perdita di carico aerodinamico, dovuta a “vortex shedding” o più probabilmente allo stallo del diffusore anteriore. Ciò porta la sospensione ad estendersi nuovamente sopra il punto di equilibrio dove la vettura riguadagna carico, ricominciando un nuovo ciclo di oscillazione. E così via. Le soluzioni contingenti per finire una gara di 3 ore in un´ottima terza posizione sono state l´aumento dell’altezza da terra per stare al di sopra della soglia ritenuta critica e dedotta dai dati, mentre le piastre in alluminio sono state sostituite con analoghi elementi in acciaio, materiale più duttile e meno sensibile alla fatica, in attesa della riprogettazione delle stesse con accorgimenti idonei ad allontanare la problematica che porta all´innesco e alla propagazione di cricche nei fori di fissaggio. Più di lungo termine allo studio è una soluzione aerodinamica consistente nella realizzazione di aperture che possano consentire di aumentare la portata d´aria allo splitter anteriore per poter lavorare anche al di sotto dell´altezza ritenuta al momento critica.
Si ringrazia il team Autosport Sorrento per aver concesso l´uso dei dati di acquisizione e delle foto di dettaglio.
Yellow Flag Talks - A cura di Fausto Cedros