Non capita tutti i giorni di avere l'opportunità di avvicinarsi, in un certo qual modo, ad una porzione di mondo appartenuta a colui che ha rappresentato il proprio mito sportivo durante l'adolescenza. Le sue foto, il suo casco, la tuta con la quale conquistò la sua seconda vittoria in Formula 1, a Detroit, nel 1983 con la Tyrrell. Ricordi e immagini che attraversano una vita intera, ed alle quali basta uno sguardo per ricollegarle ad episodi già conosciuti, piuttosto che altre in grado di rappresentare invece una scoperta, soprattutto per chi quel mondo aveva potuto conoscerlo soltanto attraverso gli occhi del tifoso. Michele Alboreto non è più con noi, da tredici anni, da quel maledetto incidente del 25 aprile 2001 al Lausitzring, eppure la sua presenza si avverte come non mai: forte nei ricordi e nelle memorie dei tanti che, in tutto il mondo, non lo hanno dimenticato. Non hanno dimenticato il pilota, capace di crescere ed affermarsi fino a coronare il sogno di diventare protagonista in Formula 1 al volante della Ferrari, ma anche e soprattutto l'uomo, unanimemente riconosciuto per le sue qualità. Perché Michele era un uomo vero.

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