F1 | Ben Sulayem e gli stewards: chi perde è sempre lo sport
Le parole del presidente della Federazione mettono in risalto ancora una volta come manchi la volontà di rendere più credibile il Circus.
Il ruolo degli stewards in F1 è da parecchio tempo sotto la lente di ingrandimento. Divergenze nelle penalità, scarsa linearità e coerenza nelle decisioni sono sempre meno accettabili in uno sport dove tutti i dettagli contano. L’ultima parte di stagione 2024 è stata un esempio di come queste situazioni possano diventare esplosive, e i piloti hanno iniziato ad alzare la voce in questo senso. La risposta del presidente della FIA, però, anche in questo caso lascia tanti dubbi in merito agli organi di gestione del motorsport e della F1 in particolare.
Richieste di cambiamento, ma il Presidente frena: “E chi paga?”
Nel corso del 2024, inutile nascondersi, le scelte della Federazione in merito a penalità, tecniche e sportive, hanno a turno scontentato tutti i protagonisti del Circus. Tanti, tra i piloti, hanno alzato la voce per fare sentire il proprio dissenso, a partire da Max Verstappen, che lo ha fatto spesso in maniera corretta e intelligente, altre volte uscendo dal seminato. In questi giorni, erano state le parole di George Russell ad accendere una luce sull’operato degli stewards.
Quando le cose si riducono all'interpretazione, e quando si tratta di coerenza, si può sostenere che se ci fossero gli stessi commissari settimana dopo settimana, la coerenza sarebbe migliore perché interpreterebbero le cose nello stesso modo e i piloti capirebbero esattamente cosa aspettarsi in una determinata circostanza. Perciò ritengo, sempre a titolo personale, non a nome dei piloti, che in questo sport siamo a un punto in cui abbiamo bisogno di steward professionisti a tempo pieno, che percepiscano un vero e proprio stipendio.
È da notare l’approccio molto cauto dell’inglese, che è sì Presidente della GPDA, ma in questi casi si esprime sempre “a titolo personale”, onde evitare problematiche maggiori. A stretto giro, è arrivata la risposta del Presidente Ben Sulayem, che ha chiuso la porta ad una opzione del genere.
È un bel discorso, ma quando si parla di professionisti, e li si vuole professionali, non vogliono pagare per questo. È una cosa ovvia. I piloti ricevono oltre 100 milioni di dollari. Chiedo loro dove li spendono? No, fanno quello che vogliono loro. È un loro diritto. Non sono solo io a dire che non sono affari loro. Noi facciamo quello che vogliamo con i nostri soldi. Sono affari nostri. Lo stesso vale per loro e per i loro soldi. Sono affari loro. Ma a volte non riesco a capire. Si parla sempre della FIA. Perché stiamo facendo questo? Perché non facciamo diversamente? Ma qualcuno è mai andato a chiedere alla FOM? Lo ripeto sempre: gli steward non crescono sugli alberi, ci vuole tempo per educarli. Ci vuole tempo per formarli. E poi bisogna farli evolvere, quindi abbiamo un programma.
Perde lo sport, come sempre
La risposta del Presidente è abbastanza esplicativa di quanto l’atteggiamento della Federazione in merito sia poco costruttivo. In primo luogo, ancora una volta ci troviamo di fronte ad un atteggiamento alla Marchese del Grillo che ben poco incoraggia al dialogo. Dire “noi facciamo quello che vogliamo con i nostri soldi, non sono affari loro”, oltre ad essere di una cafonaggine fuori scala, significa mentire, e Ben Sulayem dovrebbe saperlo bene. La Federazione non è un ente privato, dovrebbe rappresentare le istanze di tutti gli organi racchiusi al suo interno, e quindi anche dei piloti. Tra l’altro, la presenza di commissari professionisti è assolutamente un argomento che deve interessare i piloti, visto che sono loro poi che vanno in pista.
Il fatto, poi, di nascondersi dietro al fatto che gli stewards professionisti andrebbero pagati in quanto tali, farebbe ridere, ma a pensarci bene fa piangere. Veramente non ci sarebbero i fondi? Veramente tutto si ridurrebbe a questo problema? Perché se così fosse, dai, le soluzioni ci sarebbero eccome. Magari basterebbe cercare una quadra tra Federazione e Liberty Media, questo sì, e il problema si risolverebbe praticamente da solo. Netflix permettendo, è ovvio: vuoi mettere la suspense di non sapere mai cosa deciderà chi è nella stanza dei bottoni? Con buona pace, ancora una volta, di chi paga fior di quattrini per abbonamenti vari o biglietti che hanno raggiunto cifre da capogiro.
La realtà che viene percepita, purtroppo, è che le parole di Ben Sulayem altro non siano che fumo negli occhi di addetti ai lavori e appassionati. La sensazione, ancora una volta, è che non ci sia la volontà di fare quel salto in avanti necessario per restituire la credibilità alla F1 e a tutto il movimento. Dispiace, ma a perdere è ancora una volta lo sport, trattato a pesci in faccia da chi dovrebbe tutelarlo, e invece pensa solo a mettere su uno show faraonico in Rwanda, terreno fertile per portare a casa vagonate di milioni (a proposito del “Chi paga?” di cui sopra), senza curarsi minimamente di quello che c’è intorno. In tutto questo, la F1 resta l’unico sport in cui atleti professionisti vengono giudicati e penalizzati da stewards non professionisti. Un controsenso che grida vendetta, ma resterà invariato ancora per un po’.
Il dato positivo, se vogliamo, è che anche i piloti, chi più, chi meno, stiano iniziando a far sentire la propria voce. Chissà che con un’azione coesa e costante non si possa andare ad erodere questa montagna di arroganza e presunzione chiamata FIA. Che, nel frattempo, a Kigali continua a celebrare sé stessa facendo a gara con LM per chi ha più potere (per essere eleganti). Ma il problema, per Ben Sulayem, sono i soldi…
Nicola Saglia