Achille Varzi, il signore di Galliate in azione sulla sua Auto Union
Credits: sportscardigest.com

Il motorsport è fatto di grandi sfide tra campioni: Hamilton contro Verstappen, Schumacher contro Hakkinen, Senna contro Prost, e potremmo stare ore a parlarne. Ma c’è una rivalità che probabilmente è stata la progenitrice, che ha fatto parlare tanto di sé alla sua epoca, per poi finire quasi per essere dimenticata: quella tra Achille Varzi e Tazio Nuvolari

Rivista con gli occhi di oggi, la vita del pilota galliatese, soprattutto se paragonata a quella del Mantovano Volante, è ancora di più romantica, decadente e per certi versi anche misteriosa, tra periodi lucenti e annate bruciate da passioni pericolose e distruttive. Un uomo unico, complesso, ma animato dal sacro fuoco delle corse, che oggi, a 120 anni dalla sua nascita, ci sembra giusto e doveroso ricordare. 

Nato per correre

È vero, Bruce Springsteen è nato quando Varzi era già morto, e il New Jersey è ben lontano da Galliate, borgo della Pianura Padana al confine tra Piemonte e Lombardia. Ma se c’è un uomo che sin dai primi anni della sua vita è sembrato “born to run”, quello è certamente il buon Achille. D’altronde, per scoprirlo basta rileggere una sua intervista rilasciata a Corrado Filippini, direttore de L’auto italiana, e apparsa sulla stessa rivista nel luglio 1948. 

Fin da ragazzo io ho sognato di poter diventare un giorno un grande pilota di automobili da corsa. Io ho avuto la fortuna di realizzare il mio sogno. I miei idoli sono stati di volta in volta tutti i più famosi piloti della mia giovinezza e più di tutti lo è stato Nazzaro. Mi si potrà obiettare come mai con tanta passione per l’automobilismo io abbia principiato con le motociclette. Semplicemente è stato il primo mezzo – come dire? – motorizzato che mi è capitato tra le mani. Dovevamo andarci a scuola con la motocicletta, i miei due fratelli Angelo, Anacleto ed io, e fare più in fretta, a detta di mio padre. Fu così che si principiò a fare presto, cioè a correre. E poi la motocicletta costava tanto meno di un’automobile che la risposta viene da sola. Mi andò bene quasi subito e presi fiducia in me stesso. 

Fu dunque la moto il primo mezzo motorizzato che vide Achille all’opera, dapprima insieme al fratello maggiore Angelo. Dopo gli esordi nel 1922, i primi successi arrivarono l’anno successivo al Circuito del Lario, dapprima con un Garelli 350, poi con una più potente Sunbeam 500. Ed è qui che si posero le basi per la sfida con Tazio Nuvolari, che poi caratterizzerà buona parte della carriera di Varzi nel corso degli anni ’30. 

Veloce, preciso, e incredibilmente moderno

Chi lo ha visto correre e ne ha raccontato le gesta, Giovanni Canestrini della Gazzetta dello Sport su tutti, ha sempre rimarcato alcune caratteristiche fondamentali che distinguevano Varzi da tutti gli altri campioni dell’epoca. Il suo stile di guida, infatti, era veramente unico per i canoni dell’epoca: veloce, sì, ma anche preciso, pulito, senza mai cadere in sbavature o errori banali. Tant’è che di incidenti veri e propri, causati da un errore del galliatese, se ne contano veramente pochissimi. Forse il botto di Tunisi, nel 1936, può essere considerata l’eccezione alla regola, anche se diversi testimoni dell’epoca parlarono di una folata di vento a tradirlo. 

Ma c’è anche un’altra caratteristica che balza agli occhi, e che rende Varzi il prototipo del pilota moderno, professionista a tutto tondo. In un’epoca di nazionalismi esasperati, di orgoglio patrio sventolato ai quattro venti senza alcuna remora, e dove correre per una casa straniera potrebbe essere quasi considerato un tradimento, Achille se ne frega altamente e fa quello che vuole, accettando la proposta che ritiene più opportuna. lo fa ad inizio anni ’30, con la Bugatti, ma soprattutto, più tardi, con le bianche Auto Union, fiori all’occhiello del motorsport tedesco, dopo aver lasciato non senza polemiche le Alfa della Scuderia Ferrari. Certo, le vittorie e i buoni rapporti instaurati con quasi tutti i compagni di squadra appianeranno con gli anni diverse difficoltà, ma per un italiano, in quegli anni, non essere alla guida di una macchina rossa (di qualsiasi tonalità essa fosse), non era certo facile. 

La passione che brucia, l’amore che salva

Sarà proprio il periodo tedesco, indirettamente, a fare da sfondo al declino di Achille Varzi, ad essere testimone di una passione, forse addirittura più forte di quella delle corse, che in fin dei conti lo porterà ad essere, per un certo periodo, l’ombra di sé stesso. Risale infatti al 1935, durante una sessione di test sulla pista di Monza (il Varzodromo, per dire la competitività qui di Achille), l’incontro con Ilse Hubach, moglie del compagno di squadra Paul Pietsch. Una passione travolgente quella che scocca tra i due, che iniziano praticamente da subito a frequentarsi, inizialmente senza dare nell’occhio, in seguito sempre più alla luce del sole. Tanto che l’anno successivo la coppia arriverà al divorzio, e i due inizieranno a fare coppia fissa. 

Proprio quell’anno, è cosa nota, inizio la dipendenza di Varzi dalla morfina, che lo porterà sempre più a diventare l’ombra di sé stesso, come pilota e come uomo. Non è mai stato chiaro se fosse stata Ilse stessa a introdurlo a tale vizio; non si è mai capito, in realtà, quando e perché Achille abbia iniziato. Fatto sta che entrambi iniziarono a farne uso pesantemente, e ciò porto lo stesso Varzi a non essere praticamente più in grado di pilotare al suo stesso livello, e costretto diverse volte ad entrare in clinica per disintossicarsi. Ma, si sa, la passione è difficile da spegnere, e i continui ritorni di Ilse per lui coincidono praticamente sempre a pesanti ricadute. 

Per una passione irrefrenabile, per certi versi irrazionale, verso la bionda tedesca che lo consuma, però, c’è un altro sentimento che salva Achille Varzi. L’amore di Norma Colombo, sua ragazza di sempre, lasciata per Ilse, sarà fondamentale, e il matrimonio del 27 luglio 1940 contribuisce in maniera fondamentale a ristabilire l’equilibrio in uomo che ne ha bisogno più che mai. La guerra, però, ormai infiamma l’Europa, e per tornare in pista bisogna aspettare il ’46. 

Varzi e Nuvolari, il giorno e la notte tra leggende e realtà

Abbiamo iniziato questo ricordo parlando della lotta tra Varzi e Nuvolari. Se ne è parlato tanto, si è scritto tanto, e intorno a questo argomento la narrativa si spreca. Diciamolo chiaramente: intorno a tanti episodi si è ricamato in maniera impressionante. Un esempio su tutti: la Mille Miglia del 1930. Quella del presunto sorpasso a fanali spenti del Nivola su Achille. Allora, una volta per tutte, facciamo chiarezza: la corsa era a tempo, Nuvolari era partito dopo Varzi. Quando il galliatese ha visto i fanali inconfondibili dell’Alfa del rivale negli specchietti aveva già capito di aver perso, senza bisogno di alcun sorpasso da parte del mantovano, che al cronometro gli aveva già inflitto un distacco importante. Inoltre, l’episodio si è consumato scendendo da Bassano alle prime luci dell’alba, quando i fari erano già praticamente inutili, e non avrebbero comunque garantito l’”invisibilità”, se così vogliamo chiamarla. 

Ma, leggende a parte, una cosa è certa: tra i due la rivalità ha segnato un’epoca delle corse. Quel Gran Premio di Monte Carlo 1933 non ha certo bisogno di sorpassi o manovre da leggenda per essere ricordato, al di là di chi lo vinse. Nuvolari sopravvivrà a Varzi, anche se per pochi anni e malato, intossicato dai fumi della sua stessa passione (un’altra volta). Achille perderà la vita a Berna, durante le prove del GP nel ’48. Forse anche questo era destino, e per certi versi lo stesso Nivola in qualche modo invidierà al rivale la morte facendo ciò che più amava. 

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Achille Varzi alla guida della sua Alfa nel '47, a Berna, un anno prima di trovare la morte sullo stesso circuito

Ma basta, abbiamo usato anche troppe parole; il signore di Galliate ci avrebbe già invitato a bere qualcosa insieme al bancone del bar, senza dilungarci oltre, magari offrendoci una sigaretta. Allora oggi, per il 120° compleanno, non resta che ricordarlo così; sigaretta in bocca, casco di cuoio in testa ed eleganza. La passione brucia, è vero, ma l’amore di Achille Varzi per le corse è sempre stato più forte di tutto. 

Nicola Saglia