F1 | Brasile: il focus sul Gran Premio
Impensabile esaminare la gara nel solito ordine cronologico degli eventi, in quanto per analizzare tutto quello che ha offerto il penultimo gran premio dell’anno, bisognerebbe dividere i nostri Focus in volumi settimanali da ritirare in edicola. Procederemo quindi per “argomenti”:
L’"assassino" della Formula Uno? Charlie Whiting. E’ doveroso iniziare da quella che di fatto è la reale rovina della Formula Uno, ovvero la “Whiting & friends”. Ok, a Interlagos le condizioni erano al limite dell’inammissibile, e poteva starci la partenza con safety car (solo quella appunto) e la prima bandiera rossa dopo l’incidente di Raikkonen. Invece, siamo come al solito caduti nel ridicolo. La partenza con safety car si è trasformata nel solito, inutile e interminabile trenino coi piloti a cantare “pe pe pe pe pe” come si fa a Capodanno, e ad ogni goccia di pioggia in più che causava “l’arricciamento” dei capelli piastrati del direttore di gara, veniva esposta la bandiera rossa. E’ evidente che siamo davvero alla frutta, e che forse è davvero il momento di far saltare qualche poltrona fra i vertici della Federazione. Guardando le immagini in diretta dell’allegra brigata che tiene in mano i fili dei gran premi poi, è saltato subito all’occhio che serve un grosso “svecchiamento” del team, in quanto (con tutto il rispetto) più che la Direzione Gara di un gran premio di Formula Uno, sembrava di vedere la confraternita degli amanti del “tressette” della casa di riposo di Viareggio. Qualcuno non è d’accordo? Si vada a guardare la gara che ne è venuta fuori quando Charlie Whiting ha dovuto dare il via libera causa forza maggiore (diventava buio e il pubblico era pronto al linciaggio): è stata la “prima vera” gara sotto l’acqua sin dai tempi della vittoria in Spagna di Schumacher nel 1996. Una gara vera, maschia, rude e per veri uomini. Dove sono andate a farsi friggere le Power Unit, le zone DRS, le tipologie di mescole obbligate e tutte le altre “brodaglie” che oggi caratterizzano i Gran Premi. Dopo oltre un decennio, c’è finalmente stata una “Gara” vera (e la “G” maiuscola di gara non è casuale), ed è il primo evento della Formula Uno moderna che merita di essere menzionato dalle generazioni future.
Hamilton, capitan Jack Sparrow. In una gara vera, non potevano non dominare i piloti veri. E in una sfilata di errori, testacoda e problemi, l’unico a infischiarsene di tutto vincendo a mani basse è stato il campione del mondo in carica. Nonostante le condizioni proibitive, re Lewis ha sempre tenuto un ritmo indiavolato e insostenibile per tutti, trasformandosi per l’occasione in un pirata più che in un pilota (vista la quantità di acqua in pista) e governando la sua vettura come fosse un vascello. Vista la consistenza (e in questo caso anche la fortuna) del compagno di colori che è giunto secondo, forse per l’inglese è ormai troppo tardi per dimostrare le sue doti di guida. Ma se ce ne fosse ancora bisogno, ha di nuovo dimostrato che magari è vero che perderà il titolo mondiale, ma se c’è una persona a cui l’alloro finale spetterebbe di diritto, quello è lui. Senza nulla togliere ovviamente a Rosberg, che in versione ragioniere sta agguantando il risultato.
Verstappen “esagerato”. E' esattamente cosi che è stato: esagerato. In una vera e propria alluvione, se Hamilton è stato Jack Sparrow, per il figlio di Jos il titolo di “Olandese Volante” non poteva essere più azzeccato. Il baby fenomeno, in una condizione spaventosa per molti, forse per la prima volta ha guidato da vero campione. E la parola “campione” in questo caso, non serve come al solito per descrivere un pilota che va più forte degli altri. In questo caso, descrive un predestinato dotato di quel tocco, quella grinta e quelle speciali capacità che solo pochi nomi prima di lui hanno avuto. Difficile fare paragoni coi predecessori, ma stare alla TV in questo weekend ha fatto commuovere gli appassionati di vecchia guardia, convinti per un attimo di essere ritornati indietro nel tempo e di ritrovarsi nei primi anni ’90 durante le gare di Formula Uno. A quei tempi, c’era un pilota che regalava emozioni simili molto spesso, e se è vero che le analogie non sono applicabili, c’è però da ammettere che un “dejavù” si è materializzato nella testa di tanti. In una gara sola, Verstappen ha spazzato via tutte le critiche e le antipatie nei suoi confronti, entrando di diritto nell’olimpo dei fenomeni del momento.
Ferrari, meno male che ne manca una... Non ce ne vogliano i ferraristi, ma sicuramente è il pensiero comune di tutto il popolo in Rosso. Vedere finire questa stagione, è il sogno nel cassetto di Arrivabene e compagnia, che anche in Brasile hanno usato il muretto box per “nascondersi”. A Interlagos, entrambi i piloti sono finiti in testacoda (con tanto di paura per Raikkonen) in una di quelle domeniche dove sembrava si potesse ottenere di più. La colpa, ancora una volta, sembra che sia da attribuire ad una monoposto difficile da guidare nella situazione estrema che si è presentata, come se già in condizioni normale le cose andassero bene. Come detto più volte, quella che doveva essere la vettura da mondiale si è rivelata un progetto completamente sbagliato e sbilanciato, con una monoposto meteoropatica che riesce ad andar forte solo se si verifica un particolare allineamento dei pianeti in una notte di luna piena e in corrispondenza di un buco nero supermassiccio. Tradotto in soldoni, la monoposto non è veloce “mai”, e sembra che a Maranello ce l’abbiano...messa tutta per mettere in pista una macchina non applicabile alla Formula Uno. Grazie al cielo comunque, la prossima è l’ultima. E finalmente Marchionne, Arrivabene e Vettel potranno tirare un sospiro di sollievo per essere riusciti ad evitare l’ulcera che iniziava a presentare i primi sintomi…
Formula Uno, rischi accettabili. Per concludere, piccolo pensiero ad un’evidenza venuta fuori in Brasile. Con il via libera obbligato da parte di Charlie Whiting, la Formula Uno ha offerto lo spettacolo migliore degli ultimi anni sull’acqua. Segno che forse l’insistente ricerca di gare a rischio zero, non funziona in uno sport motoristico dove a vincere sono i più coraggiosi. Il pubblico è questo che vuole vedere: piloti che guidano “di stomaco”, manovre imprevedibili, sorpassi assurdi e perché no… ritiri inaspettati. Non si può rincorrere per forza la sicurezza assoluta in uno sport che assolutamente sicuro non può essere, e forse sarebbe il caso per la FIA di mettere in conto una piccola percentuale di azzardo per riuscire a restituire ai tifosi quel fantastico sport che una volta si chiamava “Formula Uno”.
Appuntamento ora tra due settimane con l’ultima gara della stagione, utile per l’assegnazione del titolo. Hamilton sarà obbligato a vincere, mentre Rosberg può accontentarsi anche del terzo posto. Sperando per lui che Verstappen e Ricciardo non si mettano entrambi in mezzo. Dalla Ferrari non ci si aspetta nulla, ma mai dire mai. Gara da non perdere dunque, perché comunque vada si entrerà nella storia: o il figlio di Keke coronerà il sogno di una vita mettendo il suo nome sull’albo d’oro di tutti i tempi, oppure l’inglese solitario andrà ad affiancare Vettel e “il professore” nella ristretta élìte di piloti che hanno fatto il poker mondiale. Non esserci quindi, sarebbe assurdo…
Daniel Limardi
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