MotoGP e SBK | Quando la sicurezza viene messa da parte
Negli ultimi anni avevamo dimenticato quanto le moto potessero essere pericolose: questo 2021 ci ha però riportato alla dura verità. La sicurezza attiva e passiva ha fatto passi avanti giganteschi negli ultimi vent'anni. Tuttavia alcune dinamiche sono poco gestibili per i sistemi di protezione: occorre ripensare a come si è arrivati all’incidente, non più solo a come salvarsi da esso. Cosa faranno FIM e Dorna è la domanda che tutti si stanno facendo: proviamo a dare qualche risposta.
Negli ultimi 20 anni, fino a questo nefasto 2021, MotoGP e WorldSBK hanno dovuto affrontare incidenti fatali in sette occasioni. Dai più emotivi casi di Daijiro Kaito (Suzuka 2003), Shoya Tomizawa (Misano 2010), Marco Simoncelli (Sepang 2011), Luis Salom (Barcellona 2016) per il motomondiale e quelle di Alessio Perilli (Assen 2004), Craig Jones (Brands Hatch 2008) e Andrea Antonelli (Mosca 2013) per il circus delle derivate di serie. Ad accumunare la morte di Alessio, Shoya, Marco, Andrea e Craig una delle dinamiche più difficili da gestire per le moto: l’investimento. Daijiro e Luis invece sono finiti contro le barriere troppo vicine alla pista, cosa che se nel 2003 poteva sembrare quasi normale, nel 2016 pensavamo fosse impossibile.
PASSI AVANTI PER LA SICUREZZA
In questi ultimi vent’anni abbiamo visto migliorare sensibilmente sia le piste che l’abbigliamento tecnico dei piloti. Le piste che ora (a parte qualche piccola eccezione) hanno standard di sicurezza molto più alti rispetto a vent’anni fa. Presentano tutte vie di fuga ben più lunghe rispetto al necessario, oltre che una “service road” che permette ai mezzi di soccorso un più rapido intervento. Anche l’adozione di air fence in quasi tutte le vie di fuga ha aiutato a prevenire diversi eventi nefasti.
Dall’altra parte la sicurezza attiva dei piloti è aumentata grazie all’introduzione degli airbag (oggi obbligatori nel motomondiale). Anche i caschi oggi per essere indossati nelle competizioni FIM hanno bisogno dell’omologazione internazionale (in vigore dal 2019). Le case produttrici di abbigliamento tecnico stanno lavorando sodo per proteggere al meglio i piloti. Obbligatorio da inizio 2021 anche il para-costole, che fino allo scorso anno era a discrezione dei piloti. Tuttavia ci sono parti del corpo che ad oggi non abbiamo la possibilità di proteggere: una su tutte il collo.
2021 ANNUS HORRIBILIS PER IL MOTOCICLISMO
Il mondiale aveva fortunatamente dimenticato il dolore della perdita di una giovane vita. Anche se nel 2019 c’erano stati incidenti fatali nell’Asia Talent Cup a Sepang e nell’Asia Road Racing Championship a Buriram. Afridza Munandar e Amber Garcia avevano perso la vita inseguendo il sogno di passare un giorno nel mondiale, ma forse era un mondo troppo distante perché ci si accorgesse che qualcosa non andava.
Questo 2021 ce lo ha sbattuto in faccia. Un anno cominciato con la morte di Stelvio Boaretto, al Mugello durante il primo round della Coppa Italia FMI. Proseguito con la scomparsa sulla stessa pista solo un paio di mesi più tardi di Jason Dupasquier. In estate il lutto durante il CEV con la morte di Hugo Millan ad Aragon e lo scorso sabato quella di Dean Berta Vinales a Jerez. Tutti i piloti scomparsi ad eccezione di Stelvio, che era un amatore come quasi la maggior parte dei piloti nella Coppa Italia, erano giovanissimi piloti che cercavano di mettersi in luce nel mondiale o nelle categorie propedeutiche.
UN LIMITE TROPPO FACILMENTE RAGGIUNGIBILE
Come abbiamo detto la dinamica più comune per gli incidenti fatali è quella dell’investimento. Questo fenomeno è molto più frequente nelle categorie più piccole che in quelle “da grandi”. Perché questo? Molto semplice: la decisione di FIM e Dorna è stata quella di uniformare le prestazioni delle moto e oggi è molto più difficile di un tempo fare la differenza. Questo vale per le categorie propedeutiche al mondiale come Asia Talent Cup ed European Talent Cup dove addirittura si corre tutti con la stessa moto che nel mondiale in WorldSSP300 e Moto3 dove la differenza delle prestazioni delle moto è pressoché nulla.
Questa uniformità di prestazioni porta i piloti a formare sia in qualifica che soprattutto in gara lunghi serpentoni soprattutto su piste veloci come quelle del mondiale. In queste piste infatti questi piloti passano praticamente tutto il tempo del giro “full gas” escludendo di fatto il fattore “talento”. Mettere 30 piloti per la Moto3 e addirittura 42 piloti per la WorldSSP300 con moto che vanno tutte uguali è sbagliato e ce ne siamo accorti troppo tardi. O forse peggio, lo abbiamo sempre pensato, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di dirlo.
Aggiungiamo al fatto che la maggior parte di questi settanta piloti ha meno di diciotto anni ed otterrete un mix letale di testosterone e voglia di emergere che porta ogni volta a gare condotte oltre la corretta bagarre.
COSA DOVREBBERO FARE DORNA ED FIM
Dorna stava già penando da inizio stagione di dividere in due le gare della WorldSSP300 dimezzando i piloti in griglia. Questo però non cambierebbe di molto la situazione visto che spesso ci troviamo con il gruppo di testa formato da quindici piloti, proprio come a Jerez quando Vinales, che si trovava a metà gruppo, è caduto venendo centrato dai piloti che lo seguivano.
Ci si interroga anche sull’età minima con la quale si può competere nel motomondiale e in WorldSSP300. Vinales era il secondo più giovane in griglia ed aveva solo quindici anni. Pedro Acosta leader della Moto3 da rookie ne ha diciassette sintomo che si più arrivare maturi anche al mondiale e vincere subito. C’è chi pensa che per il mondiale bisognerebbe avere la maggior età e forse non è una strada sbagliata. Lasciar crescere meglio i piloti nei campionati nazionali portandoli con progressione dai kartodromi alle piste medio piccole ed infine nelle piste sulle quali di disputano i campionati mondiali.
COSA STA INVECE ACCADENDO
Questo però sembra in netto contrasto con ciò che Dorna e FIM vogliono fare. A inizio anno è infatti stato presentato il progetto “Road To MotoGP”. Una serie di campionati nazionali con le Ohvale GP-0 190 per ragazzi dai 10 ai 15 anni con in palio posti nelle varie serie continentali “Talent Cup”. Questi ragazzini quindi si troverebbero di punto in bianco a correre dai kartodromi con moto con gomme da 12 pollici a piste da mondiale in sella a moto con prestazioni simili a quelle di una Moto3 di qualche anno fa.
Ad adeguarsi alla linea dettata da Dorna e FIM anche i team che ormai hanno vere e proprie filiere a partire dalle “Talent Cup” fino al motomondiale. Portando piloti sempre più giovani da legare con contratti lunghissimi al proprio marchio. Su questo KTM è la più avanti frutto anche della presenza della RedBull Rookies Cup che permette ai piloti più talentosi di entrare a piedi pari nelle grazie di KTM avendo di fatto un futuro tracciato fino in MotoGP nell’arco di 4 anni come è per Raul Fernandez.
Questo volersi accaparrare un pilota giovane da portare in MotoGP il prima possibile per “rubarlo” alla concorrenza sta portando un turnover mai visto prima nella classe regina. Il tutto però a discapito della preparazione e dei ritmi di adattamento diversi da pilota a pilota. Oggi esordire in MotoGP e rimanere fuori dalla zona punti con costanza equivale a perdere la sella per l’anno successivo. Citofonare Lecuona Iker che a 20 anni si trova costretto al passaggio nel WorldSBK dopo che KTM gli ha preferito Raul Fernandez dopo un solo anno di MotoGP.
LA DOMANDA DA UN MILIONE DI DOLLARI
Ma è davvero necessario esordire a 20 anni in MotoGP? Si può diventare campioni del mondo anche arrivando nel motomondiale a 18 o magari 20 anni e in MotoGP magari dopo i 25? Non mi sento di dare una risposta assoluta, vorrei lasciare ad ognuno di voi la libertà di credere a quello che vuole. Una sola cosa vorrei passasse a tutti, sono Dorna, FIM ed i team a doversi auto imporre di dare tempo ai piloti di crescere con gli strumenti giusti e sulle piste giuste.
Cari lettori, voglio chiudere questa analisi con un piccolo quiz per voi. Se pensate ai più grandi piloti di tutti i tempi chi pensate? Doohan, Schwantz, Rainey, Lawson e tanti altri che hanno vinto negli anni ottanta e novanta. Secondo voi a che età hanno debuttato nel motomondiale? E motomondiale vuol dire anche 125 o 250 non necessariamente la 500. Tutti oltre i 22 anni, Doohan addirittura a 24 ma questo non gli ha impedito di vincere cinque mondiali in 500. I tempi sono cambiati penserete, e sono d’accordo, ma basta normare meglio il regolamento sportivo e tecnico perchè si torni ad avere un mondiale più sicuro.
Mathias Cantarini