F1 | Trent’anni fa il rogo di Berger al Tamburello
Gerhard Berger difficilmente dimenticherà mai la giornata del 23 aprile 1989. In quella data, infatti, l’austriaco subì ad Imola, all’altezza della curva del Tamburello, sicuramente il peggior incidente della sua carriera. Berger si salvò dallo schianto (che ebbe delle analogie inquietanti con quello fatale di Senna del ’94) grazie alla resistenza del telaio Ferrari e all’intervento tempestivo dei Leoni della CEA.
Il Gran Premio di San Marino 1989 fu il secondo di quella stagione, e vide la prima fila monopolizzata dalle due McLaren di Ayrton Senna e Alain Prost. Gli alfieri della Ferrari Nigel Mansell e Gerhard Berger si trovavano rispettivamente in terza e quinta posizione, separati dalla Williams Renault di Riccardo Patrese. Al via, le posizioni delle prime file rimasero invariate fino all’inizio del terzo giro, quando Berger, a causa di un cedimento strutturale, perse il controllo della sua Rossa proprio all'altezza della curva del Tamburello e andò a sbattere violentemente contro le barriere che tutt’oggi separano la pista dalle rive del fiume Santerno.
L’impatto fu violentissimo: si calcolò infatti che la velocità fosse intorno ai 295 km/h. La vettura prese subito fuoco e in pochi decimi di secondo fu avvolta totalmente dalle fiamme. La corsa venne subito interrotta con bandiera rossa, e molti nel paddock disperarono di poter vedere Berger uscire vivo da quell’inferno. L’austriaco, invece, se la cavò “solo” con una costola rotta e alcune ustioni alle mani, che non gli impedirono di tornare in pista in Messico un mese dopo.
Berger fu salvato sostanzialmente da due fattori; il primo fu l’eccezionale resistenza del telaio costruito dalla Ferrari, che sostenne un impatto incredibilmente violento. Il secondo fattore fu l’intervento immediato degli uomini della CEA e dei commissari di pista con gli estintori. “Sono stati davvero tempestivi, altrimenti non so cosa sarebbe stato di me”, avrebbe avuto modo di dichiarare Gerhard pochi giorni dopo il botto. Dal momento della sua uscita di pista fino all’arrivo dei soccorsi passarono sedici secondi, e i marshall ne impiegarono solo altri dieci per estinguere completamente le fiamme. A quel punto si potè estrarre Berger e trasportarlo a Bologna, per poi trasferirlo a Vienna, dove poteva spiegarsi nella sua lingua e sentirsi un po’ a casa.
La convalescenza durò appena un mese: per ripristinare lo strato di pelle ustionato sul palmo della mano destra, fu necessario un intervento per asportargli la pelle dalla natica e poi reimpiantarla nella mano. Al GP del Messico, Gerhard tornò alla guida della sua Rossa.
“Non so cosa possa essere accaduto. Ho visto il muro, ho provato a muovere il volante ma la macchina andava dritta, allora non ho fatto nulla, avevo una paura terribile di cambiare l' angolazione con cui avrei toccato il muro, potevo finirci di punta o di piatto e sarebbe stato molto peggio. Non ho fatto nulla, poco prima dell' impatto ricordo di aver urlato, ho alzato le mani dal volante per ripararmi il petto. Poi non ricordo nulla”, così racconterà l’austriaco al quotidiano Repubblica un paio di giorni dopo l’incidente.
Per la cronaca, la gara ripartì e sancì l’inizio della rivalità storica tra Senna e Prost; alla ripartenza, il francese superò il brasiliano, che però lo ripassò alla Tosa, violando un accordo interno al team e andando a vincere il GP di San Marino. Fu l’inizio della battaglia che culminò con il contatto di Suzuka e la vittoria del Mondiale da parte di Prost.
Infine, è incredibile notare le analogie tra il botto di Berger e quello che sarebbe stato fatale il primo maggio 1994 ad Ayrton Senna: stessa pista, stessa curva e stessa causa (cedimento strutturale). Il fato, che fu in qualche modo benevolo con l’austriaco, non lo sarebbe stato altrettanto con Magic, che pagò con la vita il suo terribile schianto al Tamburello di Imola.
Nicola Saglia