F1 | C'era una volta...l'America: storia del Circus a stelle e strisce
Il debutto della Formula 1 in un Gran Premio degli Stati Uniti risale al 1959 in quel di Sebring, dove si impone Bruce McLaren su Cooper - Climax. Il conteggio delle edizioni disputate evidenzia tre periodi di inattività (gran parte degli Anni Ottanta, gran parte degli Anni Novanta e il quadriennio tra il 2008 e il 2011), anche se bisognerebbe rielaborare i numeri tenendo conto che sul suolo americano si sono disputate altre gare valide per il Campionato, ma che non rientrano nella statistica data la differente denominazione: le edizioni tra il 1950 e il 1960 della 500 Miglia di Indianapolis, i Gran Premi degli Stati Uniti Occidentali (tra il 1976 e il 1983), sette edizioni del Gran Premio di Detroit, una del Gran Premio di Dallas e una del Gran Premio Caesars Palace in quel di Las Vegas.
Leggendo tra le righe degli eventi che hanno portato agli strappi caratterizzanti la storia tra Formula 1 e Stati Uniti d'America, si possono trovare tanti spunti interessanti ed indizi che vanno ad avvalorare il nostro ragionamento introduttivo. Watkins Glen è stato per quasi vent'anni (intorno agli Anni Settanta) l'unico teatro di questo Gran Premio, alternando giornate epiche a momenti bui (come la tragica scomparsa di Francois Cevert), e la sua fine è stata dettata in parte dall'effetto calamita dell'evento su una vasta fauna di personaggi molesti (spesso ubriachi) che metodicamente sfociava in atti gratuiti di vandalismo, in parte (più grande) derivante dall’obsolescenza e inadeguatezza dell’impianto.
Se ci pensiamo bene, negli Stati Uniti ancora oggi pochissimi impianti sono eleggibili per la certificazione agli stringenti standard FIA richiesti per ospitare le gare di Formula 1, tanto che l'attuale tracciato utilizzato (il COTA di Austin) non fa parte dei numerosi circuiti già presenti sul territorio, ma è stato costruito da zero, verrebbe da pensare quasi esclusivamente per venire incontro alle richieste stringenti della Federazione. Durante i primi Anni Novanta, la Formula 1 ha fatto tappa nel deserto di Sonora sul tracciato cittadino di Phoenix, in Arizona, con una risposta tiepida da parte del pubblico: il fatto di aver piazzato la gara inaugurale in estate (quando impazza il caldo più afoso e la popolazione locale non esce di casa…) e di avere tribune da cui non si gode di una gran vista, non hanno aiutato l'evento a decollare, tanto che nel 1992 (nonostante ci fosse un piano per il rinnovo delle strutture) l'idillio tra America e Formula 1 è nuovamente finito. Curiosamente, la massima Formula starà alla larga dagli Stati Uniti proprio nel periodo (diciamo compreso tra lo sbarco vincente di Nigel Mansell e i due titoli di Alex Zanardi) in cui l'omologa Formula Indy raggiunge un inaspettato picco di popolarità tra il pubblico americano e quello europeo, tanto che si aveva la sensazione che la Formula 1 guardasse a questo mondo oltreoceano, allo stesso tempo così distante e così vicino, con una punta di gelosia.
Nel 2000 gli americani ci riprovano, mettendo assieme un tracciato all'interno del catino di Indianapolis: la prima edizione è un successo di pubblico, ma poi l'affluenza tenderà a calare, soprattutto in seguito all'edizione 2005, in cui i guai alle gomme Michelin forzano le scuderie al ritiro dopo il giro di formazione e la gara disputata da solo sei vetture. L'ultima edizione disputata nell'Indiana è quella datata 2007, formalmente perché l’impresa non genera più abbastanza giro di denaro e l’amaro in bocca per una combinazione che sulla carta avrebbe dovuto essere vincente e invece porta Bernie Ecclestone a dichiarare che “la Formula 1 non correrà mai più a Indianapolis”. Categorico. L'ultimo tentativo, in ordine di tempo, perché la Formula 1 trovasse l'America in terra americana è il tracciato di Austin, chiamato Circuit Of The Americas (o COTA): un puntino in quel Texas conservatore e legato alla tradizione tipo Far West, tanto che ogni anno l'evento è l'occasione buona per vedere look del tipo “ho appena girato una scena in un film western” o le grid-girls che si rifanno alle mise di Daisy Duke.
Il tracciato, disegnato sotto la supervisione di Tilke (questa volta nella fase matura della sua carriera artistica), presenta una conformazione di sicuro non piatta dove ogni sequenza di curve è un omaggio/citazione di qualche curva topica vista su altri circuiti più famosi. Il tratto più caratterizzante, a nostro parere, è la prima curva a sinistra in salita che in uscita porta ad accelerare in lieve discesa verso le doppie curve veloci: nessun altro tracciato in Calendario presenta qualcosa di simile ed è molto importante impostarla bene subito dopo la partenza. Qual è il punto migliore da dove guardare la gara? Ovviamente la Observation Tower, progettata dallo studio di architettura Miró Rivera... ma non cercate i biglietti su Internet, perché la capienza è di settanta posti e, comprensibilmente, sono già tutti assegnati da tempo. Delle cinque edizioni disputate fino ad oggi, quattro sono andate a Lewis Hamilton e una a Sebastian Vettel. Il fine settimana di gara di solito si conclude con un concerto nell'arena dell'impianto e chissà mai possa essere possibile rivedere sul podio per le interviste un Elton John formato “sono appena uscito dalla palestra” con tuta nera e inserti oro come era capitato qualche anno fa.
Per ora sembrerebbe che l'alchimia tra la Formula 1 e l'America sia destinata a durare (anche perché in Texas confluiscono parecchi tifosi provenienti dal Messico), nonostante nel 2015 l'uragano Patricia abbia lasciato il segno sull'affluenza di pubblico e che recentemente siano stati rivisti i fondi governativi a disposizione per l'impianto. Appuntamento quindi a domenica in pista...
Luca Colombo