Quando si arriva in Malesia per la penultima gara della stagione, la mente va inevitabilmente a quel maledetto secondo giro di domenica 23 ottobre 2011, giorno dell’incidente che ha portato via per sempre Marco Simoncelli.

Sono le 10.56 italiane (16.56 orario malese) quando Paolo Beltramo annuncia in Tv la notizia che nessuno avrebbe voluto sentire: Marco Simoncelli è morto. Strazianti le immagini dal box che riprendono la fidanzata Kate in lacrime, ma anche Valentino Rossi e tutti gli altri protagonisti del Mondiale. E’ il secondo giro del Gran Premio della Malesia, penultimo appuntamento del mondiale 2011, stravinto da Stoner sulla Honda.

Stavi difendendo la tua posizione con le unghie e con i denti da Alvaro Bautista con la Suzuki, quando ad un certo punto le telecamere ti riprendono mentre con la tua moto attraversi la curva 11 finendo sotto le ruote delle moto di Colin Edwards e del tuo grande amico Valentino Rossi. Com’è beffardo il destino vero? Tu e il tuo idolo e amico Valentino coinvolti nello stesso incidente che ti ha portato via per sempre. Anni di bagarre alla cava a darvi sportellate e poi vi siete ritrovati avversari in MotoGP, ma sempre amici al di fuori della pista. D’altronde, la MotoGP era sempre stata il tuo sogno fin da quando eri entrato nel Mondiale, partendo dalla 125 per arrivare al titolo in 250 e compiere il grande salto nel 2010 in MotoGP con uno dei migliori team privati in circolazione, il Gresini Racing, al fianco di Marco Melandri. Hai sempre chiesto consigli a Valentino su come perfezionarti e come mettere a punto la tua moto per le gare. Nella tua ultima stagione sei cresciuto a vista d’occhio come prestazioni (la pole a Barcellona e i tuoi primi podi a Brno e Phillip Island) anche se ti è rimasta un po’ di irruenza (lo scontro con Pedrosa a Le Mans) ma questo faceva parte del tuo modo di guidare la moto. Sognavi il gradino più alto del podio e proprio in Malesia volevi inseguire il tuo sogno di “salire sul gradino centrale, così che ti vedessero meglio”, e avevi le carte in regola per poter essere il vero erede di Valentino per carisma, simpatia, e per un sacco di altre qualità. Non è mai successo che ad uno sportivo venissero concessi i funerali in forma pubblica (solo ad Ayrton Senna era stato concesso) e ripresi dalle telecamere, ma tu eri speciale e quindi ci voleva tutto l’affetto della gente di Coriano e dei tifosi venuti da ogni parte d’Italia per rendere omaggio ad un pilota entrato nel cuore delle persone per il suo modo di fare e certamente per la capigliatura che ti contraddistingue. Ammiro veramente tanto i tuoi genitori Paolo e Rossella (che ho avuto modo di conoscere ad Imola in occasione del ventennale della morte di Senna) e tua sorella Martina per come sono riusciti a convivere con il dolore della tua perdita e riuscire ad andare avanti. Mi piacerebbe ricordarti attraverso tue frasi ormai diventate celebri: “per arrivare primi bisogna prendere la bandiera a schiaffi”, “eh oh son le corse” (questo dopo l’incidente con Pedrosa a Le Mans), “Si vive di più andando cinque minuti al massimo su una moto come questa, di quanto non faccia certa gente in una vita intera.”, ma la perla rimane quella frase detta ai microfoni di Fuorigiri dopo il contatto con Barbera al Mugello: “a sua sorella ho aperto una gamba” (in risposta alla affermazione di Franco Bobbiese che gli diceva che secondo Barberà tu avevi aperto una gamba). Marco, io non ti conoscevo di persona ma queste parole che ho scritto sono frutto di quello che ho vissuto io come tuo coetaneo, vedendo il tuo terribile incidente in tv quella maledetta domenica mattina. Spero tu ti stia divertendo lassù insieme a Kato, Tomizawa, Antonelli, Abe e tutti gli eroi che il Motomondiale ha perso nel corso degli anni. Ciao, Marco.

Marco Pezzoni

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