Perchè, si sa, le prese di posizione "politically correct" attecchiscono più facilmente nell'immaginario popolare, magari portando alla causa del profeta di turno qualche click o retweet che di sicuro non nuoce. Eppure, la situazione è ben diversa. Innanzitutto perchè proprio quell'Haryanto, oggi messo da parte dalla Manor per carenza di fondi, si era assicurato quel sedile ad inizio stagione proprio per il corposo budget messo a disposizione dal governo indonesiano. Esaurita la gettata dei rubinetti statali, il simpatico Rio (il quale, va sottolineato, non ha assolutamente sfigurato nel confronto con il ben più quotato compagno Wehrlein) è stato così costretto terminare in anticipo la propria esperienza, dopo aver visto il proprio debutto accompagnato da quella componente di "critici" che oggi, magari più per ragioni di opportunismo che per altro, sembrano quasi giocare a volerlo rimpiangere. Probabilmente persino ignorando che lo stesso indonesiano lo scorso anno era riuscito ad essere tra i principali protagonisti della GP2, facendolo rapidamente passare nell'arco di pochi mesi da pilota con la nomea di "fermo" e "pagante" a quello di colui sacrificato sull'altare del dio denaro.

Tanto qualunquismo e superficialità, dicevamo: perché, come sottolineato correttamente da Roberto Chinchero in un recente intervento su Facebook, la vera novità è rappresentata dal fatto che lo schieramento della Formula 1 attuale è in stragrande maggioranza composto da piloti non provenienti da famiglie particolarmente facoltose, bensì capaci di emergere innanzitutto grazie al proprio talento. Fatte salve le ormai rare eccezioni (Chinchero ha citato Gutierrez, Nasr ed Ericsson, ma forse alla lista andrebbero aggiunti un altro paio di nomi) i piloti paganti rappresentano quasi piacevolmente una presenza marginale nell'attuale contesto della categoria regina. A ben guardare, infatti, tutti gli altri (chi più, chi meno) sono riusciti ad emergere vincendo campionati nelle categorie minori, piuttosto che assicurandosi il supporto di una Driver Academy dopo essersi messi in luce per le proprie prestazioni. Ben venga, dunque, l'arrivo di Ocon in Formula 1, uno dei pochi (se non l'unico) capace di vincere due campionati diversi negli ultimi due anni, imponendosi in contesti assai difficili ed impegnativi come il FIA F3 European Championship e la GP3.

Il perchè succeda tutto ciò, in ogni caso, è presto detto: una buona parte dei commentatori odierni (o, dicesi altrimenti, "influencers") non conosce una beata mazza né di quelle che sono le dinamiche del motorsport nelle categorie inferiori né, tantomeno, il background dei giovani piloti che si affacciano alla grande vetrina della Formula 1. Perché spesso si limitano a voler entrare direttamente nel mondo dei "grandi", senza aver accumulato la giusta dose d'esperienza e conoscenza nel mondo delle categorie propedeutiche. Ma questo, purtroppo, fa parte di una cultura sportiva "tipica" del nostro Paese: quella secondo la quale esiste "solo" la Formula 1 e "solo" la Ferrari. Il resto? Totalmente inutile o quasi completamente ignorato dai grandi media, che spesso preferiscono puntare l'attenzione sul palcoscenico più prestigioso, lasciando le briciole a tutto il resto. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: basterebbe vedere il pubblico presente sugli autodromi italiani durante un qualsiasi weekend di gare cosiddette "minori", composto perlopiù da familiari dei piloti e da addetti ai lavori, e confrontarlo con quanto avviene in altri paesi (vedi Inghilterra e Germania), con tantissimi appassionati pronti ad affollare le tribune. Un problema profondo, di non semplice né immediata risoluzione, nonostante gli sforzi profusi soprattutto in epoca recente dalla nostra Federazione.

Eppure, per alcuni questo non sembra rappresentare un problema: sentendosi pronti per diffondere il proprio "verbo" al grande pubblico nonostante questo vuoto da colmare. Un po' come pensare di poter passare un esame all'Università studiando su un bigino o, peggio, copiando dal compagno di banco. E' pur vero che nel motorsport (e questo va sottolineato) se all'inizio non si hanno soldi da poter investire, nessuno riesce a fare strada: è un semplice ed incontrovertibile dato di fatto. Questo riguarda più un vizio intrinseco di questo mondo, se vogliamo da dover accettare per forza di cose, vista la sua natura di sport d'élite o "aristocratico" che lo distingue rispetto ad altri contesti (come il calcio, ad esempio) decisamente più accessibili e popolari. Ma ciò non toglie che, anche nell'universo dei motori, a trionfare possa comunque essere il talento: ben venga, dunque, questa inversione di tendenza, e quindi benvenuti ai vari Ocon, Verstappen, Wehrlein e via dicendo. In barba a chi sostiene che le Formula 1 moderne potrebbero essere comodamente guidate da chiunque: per giudicare, infatti, non basta essere in possesso della patente.

Marco Privitera

 

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