I motori della Formula 1 resteranno in silenzio ancora per qualche settimana, in vista dell'atteso debutto stagionale in Austria ai primi di Luglio, ma la voce di Lewis Hamilton in queste ultime giornate è tornata a farsi sentire in maniera prepotente sui Social in merito ad un argomento alquanto delicato. Le proteste che hanno fatto seguito in tutto il mondo all'assassinio di George Floyd da parte di un poliziotto statunitense hanno trovato un valido ambasciatore (almeno su Instagram) proprio nel sei-volte campione del mondo, primo pilota di colore a partecipare ad un Gran Premio.

Non è certo la prima volta che Lewis Hamilton si espone su tematiche sociali e politiche. Tra gli attuali piloti di Formula 1, l'anglo-caraibico è sicuramente colui che ha voluto regalare al proprio personaggio un impegno che andasse oltre le "semplici" questioni legate allo sport praticato. Forse avvertendo anche la responsabilità di essere il primo pilota di colore (eccezion fatta per il test disputato da Willy T. Ribbs nel 1985) a salire su una vettura della classe regina.

IL J'ACCUSE DI HAMILTON

Non a caso, subito dopo il tragico episodio di Minneapolis, è stata proprio la Formula 1 il primo bersaglio a finire nel mirino di Hamilton. Il quale ha pensato bene di "stimolare" sulla questione razziale l'ambiente nel quale ha costruito le proprie fortune sportive. Evidenziando di essere l'unico nero in uno sport "dominato dai bianchi", e di aver patito nel corso della fase iniziale della propria carriera diversi attacchi in virtù del proprio colore della pelle.

L'anglo-caraibico si è apertamente schierato a sostegno del movimento "Black Lives Matter", che in varie parti del mondo ha riempito le piazze con manifestazioni che hanno chiamato a raccolta centinaia di migliaia di persone, purtroppo sfociando in svariate occasioni anche in episodi di violenza e vandalismo. Dai quali Hamilton ha sottolineato di volersi dissociare, almeno fino a quando a Bristol non è avvenuto l'ormai "celebre" abbattimento della statua di Edward Colston.

Quest'ultimo episodio ha fornito un nuovo assist a Hamilton per esporre nuovamente su Instagram il proprio pensiero. Stavolta con una presa di posizione ancora più netta: "Edward Colston era un mostro schiavista che non avrebbe mai dovuto avere una statua. Sono orgoglioso degli attivisti di Bristol che l'hanno abbattuta. Tiratele giù tutte. Ovunque." ha scritto il pilota.

Ora, è chiaro che l'episodio di Minneapolis vada condannato, senza se e senza ma. Ed è anche risaputo che (purtroppo) gli Stati Uniti debbano fare i conti da secoli con una lunga storia fatta anche di discriminazioni. In barba al cosiddetto "sogno americano".

Ma Lewis Hamilton può davvero risultare credibile nel suo ruolo di paladino dei più deboli? Il dubbio appare lecito. Il più celebre pilota di Formula 1 dell'era moderna, uno degli sportivi più pagati al mondo. Capace di guadagnare tonnellate di "like" gettandosi a capofitto su una causa già vinta in partenza. Al punto che, anziché ergersi a "trascinatore" dell'ambiente, Hamilton ha dato la sensazione di essersi lasciato trascinare da un'occasione troppo ghiotta per poter restare in silenzio. Finendo nel calderone del "politicamente corretto" che sta facendo prendere una piega per certi versi paradossale (e ulteriormente violenta) a questa protesta.

PROTESTA LEGITTIMA O GUERRA ALLA STORIA?

Basti vedere gli abbattimenti delle statue di Cristoforo Colombo negli States, o gli sfregi a quelle di Winston Churchill nel Regno Unito. Proprio dove i sostenitori del movimento hanno creato una lista di 60 statue da rimuovere. O addirittura, tornando alle vicende di casa nostra, alla folle richiesta di rimuovere la statua di Indro Montanelli a Milano. In certi casi, ci vuole poco per generare una scintilla capace di trasformare una protesta dallo scopo assai nobile in una generica e confusionaria "caccia al razzista". Un po' il vezzo che caratterizza i sostenitori del pensiero unico globale, incapaci di tollerare qualsiasi parola che abbia a che fare con identità, sovranismo e tradizione. Perchè la storia va innanzitutto studiata, e poi rispettata per quella che è, con i suoi pregi e i suoi difetti.

Forse la Formula 1 avrebbe bisogno di una versione moderna di Muhammad Alì un tantino più attendibile. Forse Lewis Hamilton, dall'alto dei suoi jet privati e del suo ricchissimo conto in banca, farebbe meglio a non giocare a fare il "brutto anatroccolo" ogniqualvolta gli si presenti l'occasione. O forse ciò che andrebbe abbattuto, oltre al razzismo, sarebbe in certi casi anche un pesante muro di ipocrisia.

Marco Privitera