Cinema da corsa | "Rush": è solo una questione di motivazione
Come abbiamo imparato con la nostra rubrica “Cinema da corsa”, il mondo dei film ha spesso strizzato l’occhio al mondo della competizione automobilistica, ma, nonostante la "potenza di fuoco" disponibile alle latitudini di Hollywood, raramente si sono viste produzioni dedicate alla Formula 1. Sicuramente hanno pesato motivi di budget e logistici (vedere l'intramontabile "Driven" di Sylvester Stallone), ma non dobbiamo sottovalutare un’intrinseca difficoltà a costruire una storia interessante e capace di tenere lo spettatore incollato allo schermo.
Prendendo la questione molto alla larga, un conto è raccontare la vicenda di un pilota che corre in un qualsivoglia campionato con gli alti e bassi di un’annata (o di una carriera) e di tutto quello che ci gira attorno, esercizio che potrebbe portare a risultati banali o scontati; un altro è inserire, in modo effettivo e funzionale alla trama, una scena d’inseguimento tra le strade di San Francisco in un film come “Bullitt” (nota: più difficile è girare una sequenza che si consegni alla leggenda come quella del film di Steve McQueen...).
Date queste premesse, Ron Howard decide di avventurarsi su questo terreno scivoloso, girando un film incentrato sulla rivalità tra James Hunt e Niki Lauda, ben definita e consegnata alle cronache con il Campionato del Mondo 1976: la pellicola si chiama "Rush" ed è uscita nelle sale nel 2013. La caratteristica sostanziale del film è la narrazione non limitata alla mera cronaca dell'assegnazione del Mondiale (il quale, come sappiamo, finirà nelle mani di James Hunt), peraltro segnata da gare ed eventi tribolati passati poi alla storia, ma cerca di partire da questi eventi per focalizzarsi su un livello più profondo, ovvero la motivazione, come prospettato dalla coda del titolo: "Everyone's driven by something" (tutti siamo guidati, motivati, da qualcosa).
Questa dichiarazione di intenti è chiara sin dalla scena iniziale, in cui prende vita un incipit da brividi: "Ogni anno, venticinque piloti prendono parte al campionato mondiale di Formula 1, e ogni anno due di noi perdono la vita. Chi può scegliere un lavoro simile? Non le persone normali, questo è sicuro. Ribelli. Pazzi. Sognatori. Persone che farebbero qualsiasi cosa per lasciare il segno e che sono disposti a morire pur di riuscirci." Il Mondiale 1976 è il miglior modo di esplorare da cosa è guidato chi fa questo lavoro, e probabilmente non è stato scelto a caso da Ron Howard: da una parte c'è Niki Lauda, possibilmente il primo traghettatore verso la Formula 1 moderna, in cui il talento di guida si fonde con un approccio al lavoro più professionale, meticoloso e freddo, dove si parla di "rischio calcolato" e nel quale non c'è spazio per suscitare simpatia; dall'altra c'è James Hunt, che la domenica riporta a casa la pelle e i trofei esclusivamente grazie al talento per la guida, unito a una filosofia di vita in cui ogni momento va vissuto come se fosse l’ultimo, senza spazio per un approccio troppo analitico o chirurgico in quello che si fa, cosa che lo restituisce come un personaggio più vero e immediato.
Nella pellicola si nota lo sforzo di dipingere un’immagine viva della Formula 1 di quell’epoca, che parecchi ricordano con il motivo del “quando le corse erano pericolose ed il sesso era sicuro”: montaggio, fotografia e post-produzione sono meticolosi, dove possibile sono state impiegate vetture vere per le riprese e i riferimenti all’epoca che fu si sprecano, tra i quali la nota propensione di Hunt a “tirare su l’anima” prima delle gare e i richiami (crediamo apprezzati da tutti gli appassionati) a quella che fu l’esperienza della Hesketh Racing, la scuderia dell’orsacchiotto, e del suo carismatico fondatore, Lord Alexander Hesketh. Apprezzabile è anche il taglio realistico nelle riprese, a volte al limite della crudezza.
Il fatto di dover incanalare la storia tra i due protagonisti, di suo già molto articolata, secondo i tempi e i modi di un blockbuster hollywoodiano, porta a qualche inevitabile difetto. A nostro parere Chris Hemsworth è sicuramente ben inquadrato per un ruolo "ad alto livello di testosterone", ma spesso si ha la sensazione che il James Hunt filmato manchi un po’ di spessore. Tra i peccati lievi c'è qualche incongruenza a livello storico e la surreale sequenza dei napoletani in Trentino Alto Adige (del resto ricordiamo che la regia è statunitense e la conoscenza della geografia italiana opzionale). La più grossa omissione, nel dipanarsi degli eventi di quel 1976 come descritto nel film, riguarda il contributo determinante di Arturio Merzario nel rogo del Nurburgring per salvare la vita di Niki Lauda.
Dal nostro osservatorio segnaliamo che per un Hemsworth tre quarti Hunt e un quarto Thor, troviamo un Daniel Brühl praticamente perfetto nella parte di Niki Lauda (sia nelle pose, sia nel modo di parlare - bisogna però ascoltare la versione originale del film), ben coadiuvato da Alexandra Maria Lara, impressionante nel ruolo di Marlene Knaus e da Pierfrancesco Favino, che impersona alla grandissima l’immenso Clay Regazzoni.
In conclusione, cosa possiamo dire di “Rush”? Se vogliamo andare a vedere un film che dia uno spaccato quasi documentaristico delle corse dell’epoca, probabilmente rimarremo un po’ delusi. Ma se vogliamo vedere un film ben confezionato ambientato nelle corse e dal quale possiamo imparare qualcosa per uscirne più arricchiti dalla visione, la pellicola di Ron Howard è sicuramente da vedere e non deluderà le aspettative, anche e soprattutto per un finale senza trionfalismi e “happy ending” propri della tradizione cinematografica di Hollywood.
Luca Colombo